L'autrice e sceneggiatrice torna in libreria con "Sembrava bellezza" (Mondadori). E durante "Incipit", la rubrica di Sky TG24 dedicata ai libri, dice: "L’immaginazione vale come esperienza, è pari al vissuto. Tutti noi, come persone, siamo il risultato di rielaborazione e di alterazione di ciò che ci è successo"
Per raccontare "Sembrava bellezza", il nuovo romanzo di Teresa Ciabatti, si potrebbe partire dalla riga trentatré della pagina cinquantanove. Livia, la sorella dell'amica della protagonista del romanzo, la ragazza che tutti sognano di essere, o di baciare, è improvvisamente scomparsa. La madre si lamenta, prospetta il peggio e allora lei, Ciabatti, per restituire la distanza (che poi è quasi un abisso) tra quella figlia, amata, e l'altra figlia, Federica, decide di lasciar perdere i sentimenti, le frasi alate, i voli retorici e di concentrarsi su un armadio. Per verificare le differenze, scrive, per toccare con mano quale delle due sia la prediletta, basterebbe aprire l'armadio di quelle due figlie e tutto, assicura, si comprenderebbe.
I sentimenti e le cose
Sono tre righe scarse, eppure bastano a Ciabatti per ricordarci come nella narrazione, così come nella vita del resto, non è affatto vero che ci sono solo i sentimenti: insieme a loro, ci sono pure le cose, e sono proprio le cose, e soprattutto il rapporto con quelle cose, a raccontarci le persone nel loro profondo.
"È vero, questa è una mia fissazione di scrittrice - commenta lei, Ciabatti appunto - durante 'Incipit', la rubrica di Sky TG24 dedicata ai libri - Amo raccontare molto anche attraverso gli oggetti, perché ciò che si possiede ci dice tanto delle dinamiche interne a una famiglia. Sopratutto quando, come nel mio caso, si racconta un’ascesa sociale o quanto meno un’ambizione di ascesa sociale".
"L'immaginazione vale come esperienza"
"Sembrava bellezza" è il settimo romanzo di Teresa Ciabatti e la protagonista è una scrittrice che ha conosciuto il successo. Si potrebbe parlare di autofiction, come si dice sempre più spesso oggi, ma in realtà quest'etichetta scivola presto dal dorso di questo libro, e non tanto perché Ciabatti precisi più volte in questa intervista come per lei sia impossibile l’autobiografia, figuriamoci in un romanzo, che è sempre fatto di finzione e di realtà. Ma soprattutto perché questo romanzo è tutto incentrato sul rapporto con il tempo e sulla manipolazione della realtà.
"L’immaginazione - dice - vale come esperienza. Avendo vissuto poco sia come bambina sia come adolescente, non sono mai stata protagonista di qualcosa, e dunque la mia vita più intensa è stata quella immaginata. Forse è stato poi questo che mi ha consentito di diventare scrittrice. E io, del resto, credo fermamente che l’immaginazione sia pari al vissuto, che ci condiziona e che noi, come persone, siamo il risultato di rielaborazione e di alterazione di quello che ci è successo".
Il racconto e l'immaginazione
È un tema centrale, questo, per Ciabatti, tanto che durante quest'intervista ci torna spesso, ricordando quanto per lei l’immaginazione sia centrale: tutti gli esseri umani, dice, raccontano e tutti, a loro modo, sono scrittori della propria vita. Inevitabile, dunque, che la frustrazione che ne deriva sia “un sentimento fondamentale, anche nella scrittura”. Ecco, volendo ridurlo all'osso, l'ultimo romanzo di questa scrittrice abilissima a indagare il nostro rapporto con la marginalità e con la vergogna sta qui: in un'indagine sullo scarto tra realtà e immaginazione, e sul riscatto e l'inevitabile prevalenza di quest'ultima su tutto il resto.