INCIPIT - In un saggio Feltrinelli l'ex direttore di Repubblica ripercorre la storia del congresso di Livorno che provocò la più grave lacerazione della sinistra italiana. E a Sky TG24 racconta le conseguenze di "un vizio che porta a predicare la fraternità e la solidarietà salvo poi a non praticarla nella vita concreta del partito"
“Quella italiana è una sinistra senza nome, perché i due nomi che l’hanno per anni definita nella sua storia centenaria sono durati uno troppo a lungo (comunismo) e l'altro troppo poco (socialismo)”. Ezio Mauro parte da qui per spiegare la rilevanza del congresso più lacerante della sinistra italiana, quello che a Livorno nel gennaio del 1921 porta alla nascita del Partito comunista d'Italia. A quel congresso e alle sue conseguenze è dedicato il suo ultimo libro, La dannazione, arrivato in libreria per Feltrinelli proprio a ridosso dell'anniversario.
"Questa unicità tutta italiana - racconta a Incipit, la rubrica dei libri di Sky TG24 - nasce dal settarismo della nostra sinistra, e in particolare da quel vizio che porta a predicare la fraternità e la solidarietà salvo poi a non praticarla nella vita quotidiana del partito, trasformando il proprio compagno nel peggior nemico".
La sottovalutazione del fascismo
Una contrapposizione, spiega Mauro, che "nell'ultimo secolo ha provocato divisioni e obnubilazioni, a partire proprio da quel congresso durante il quale nessuno vede la gravità della violenza fascista. Per quasi tutti i delegati l'eversione squadrista è una coda della guerra che sarà presto riassorbita dal sistema. E questa sottovalutazione proseguirà sostanzialmente fino al celebre discorso del 1924 di Giacomo Matteotti, nonostante i morti, i feriti e i giornali zittiti col ferro e col fuoco".
Il ruolo di Mosca e il mito della rivoluzione
Ma La dannazione racconta anche il ruolo di Mosca in quella scissione, con le sue pressioni e le sue ingerenze: "Il Cremlino - ricorda Mauro - è un protagonista di quel Congresso. In pochissimo tempo i socialisti si sentono dire che occorre cambiare il nome al partito, che serve organizzare una milizia clandestina per scatenare al momento opportuno l'insurrezione e, soprattutto, che devono cacciare i riformisti". Solo l'esempio più iconico ed evidente di un atteggiamento, conclude il giornalista, iniziato mesi prima: "Già durante il congresso della Terza internazionale la delegazione italiana aveva scoperto la differenza tra l'utopia rivoluzionaria vista da lontano e la maglia di ferro che calava sui partiti desiderosi di farne parte. La rivoluzione russa aveva accorciato gli orizzonti: non era più solo un mito, ma qualcosa di concreto che avrebbe portato a scelte cariche di conseguenze visibili ancora oggi".