Lo scrittore firma un romanzo con protagonista un uomo raccontato attraverso le sue case. E durante "Incipit", la rubrica di libri di Sky TG24, dice: "Nella letteratura la cosa più importante è il suono della lingua". L'intervista
La vita che succede è soprattutto la vita nelle stanze, ed è per questo che si può raccontare anche a partire dal rumore di un battiscopa, da un paio di piastrelle sbrecciate o dal cigolio che fanno le serrande. Ne è convinto Andrea Bajani, che ha deciso di raccontare la storia del protagonista del suo nuovo romanzo proprio a partire dalle case che quel personaggio ha abitato ("Il libro delle case", Feltrinelli, pp. 256, euro 17).
Le case sono dei testimoni, dice Bajani durante la nuova puntata di 'Incipit', la rubrica di Sky TG24 dedicata ai libri; per questo, raccontarle vuol dire "raccontare una specie di matassa che tiene insieme l’intimità più nuda fatta di persone che dormono, sorridono, fanno l’amore e il sudore degli operai che lo costruiscono, l’urbanistica e la storia di un’epoca". Non solo. I muri, aggiunge, sono muti testimoni che ci ascoltano (e ci guardano) quando siamo nella condizione più inerme, perché la casa è uno di quei posti in cui non ci chiediamo mai se qualcuno ci sta guardando.
Case, cose e relazioni
Scrivere di case significa però scrivere anche di relazioni. Succede spesso così, dice Bajani, ed è difficile spiegare il perché ci si affeziona a degli spazi o per quale ragione andiamo a sederci sempre su una poltrona o su una sedia ignorando comodità e panorami. Questo, aggiunge, resta davvero un mistero. Ciò che è certo, invece, è che "la gestione degli spazi è politica e sentimentale insieme, e che i luoghi reali per essere descritti non è necessario che si siano visti davvero".
Per spiegarlo, Bajani ricorda quanto gli disse, più di dieci anni fa, un grande scrittore, Antonio Tabucchi: "Vivevo a Parigi e stavo tentando di andare in Russia dove ero già stato per fare dei sopralluoghi per un libro ('Ogni promessa', ndr) e tuttavia per una ragione complessa quel visto mi era stato negato. Fu lui, nel vedermi piuttosto acciaccato e intristito da questa impossibilità, a dirmi: 'Ancora con questa cosa che per raccontare i luoghi bisogna starci! Suvvia, un po’ di immaginazione!'".
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"Nella letteratura la cosa più importante è il suono della lingua"
I dettagli, al contrario, contano, ovvio. Inutile chiedere a Bajani quanto siano importanti, meglio sapere come si scelgono. "La risposta più secca sarebbe che non lo sa nessuno", si schermisce; poi però aggiunge che "quando si scrive si sta in una strana stanza che è un misto tra la memoria, la visione e il desiderio" e che "a volte, camminando in quella stanza, si vede un battiscopa che attira l’attenzione, e che non è affatto detto che attiri soltanto per la sua estetica. Magari - aggiunge - ci attrae per il suo suono. Non dimentichiamoci che la cosa più importante della letteratura è la lingua, il suono che fa".