Quadriennale di Roma, un'edizione Fantastica

Voleva che fosse una Quadriennale Fantastica. Anche per questa ragione, Luca Beatrice, aveva intitolato così la “sua” Quadriennale, dopo l’incarico ricevuto per la curatela. Luca Beatrice, però, è scomparso a gennaio e non ha potuto portare a termine il suo compito. Lo hanno fatto i colleghi che hanno preso il suo posto, onorando lui e quel titolo e conducendo in porto un progetto ben strutturato, articolato in 5 sezioni, che racconta l’arte contemporanea dei primi 25 anni del XXI secolo. Fino al 18 gennaio il Palazzo delle Esposizioni a Roma, ospita la mostra che quest’anno sviluppa un dialogo tra tradizione e innovazione, con lavori che utilizzano diversi media: dalla pittura alla scultura, dalla videoarte, all’installazione multimediale. Un progetto espositivo che diventa luogo per riflettere sulla Società, sulle trasformazioni culturali, sull’influenza che l’Arte ha sulle vite degli artisti e sulle nostre. Marco Delogu, Presidente Azienda Speciale PalaExpo Che Quadriennale sarà? Prende forma e sostanza la diciottesima Quadriennale d’Arte Contemporanea, la Quadriennale voluta e concepita da Luca Beatrice, prematuramente scomparso. Un progetto ambizioso, complesso, che ha preso forma grazie al lavoro indefesso dell’intero staff di Quadriennale, dei cinque curatori e curatrici e dei 54 artisti in mostra. La creatività contemporanea di Fantastica, questo il titolo del progetto, dialoga a distanza con la grande Quadriennale del 1935, che propone un’antologia degli artisti e delle artiste e delle loro opere, che diedero grande lustro a quella edizione. Grandissimi nomi, grandissime opere, che il pubblico potrà vedere e ammirare dopo diversi anni. Luca Massimo Barbero, curatore Lei è tra i curatori di questa 18^ Quadriennale. Dove ci porta, la sua sezione? "La mia immagine è ciò da cui mi faccio rappresentare: l’autoritratto". Questo è il titolo della sezione che, in qualche modo, è una sorta di scusa, un pretesto, per parlare dell’iperproduzione di immagini attraverso tutti i nostri apparecchi, ma l’artista si fa rappresentare dal suo lavoro. Quindi, la sezione è una sorta di percorso in tre atti. Il primo atto è la Pittura, che parla di sé attraverso delle modalità particolarissime, ma anticipata da una fotografica che racconta un autoritratto di Fontana dal titolo “Io sono una carogna, io sono un santo”. Questa è una sorta di labirinto in cui la Pittura si espleta, cioè, rappresenta il carattere di indagine dell’autore. Una fase di decompressione, quindi, centrale, con un intervento luminoso e uno sonoro e poi uno spazio che parla di distensione, di particolarità, di accenti fra Scultura e Fotografia e modalità della Pittura. Questo è, in fondo, un panorama e potrei chiamarlo, non soltanto la mia sezione alla Quadriennale, ma anche una sorta di autoritratto di ciò che accade alla Quadriennale di Roma. Emanuela Mazzonis di Pralafera, curatrice C’è l’uso della fotografia nell’Arte Contemporanea, al centro della sezione da lei curata. Ci aiuta a esplorarla? La mostra “Il tempo delle immagini”, che curo per la diciottesima Quadriennale di Roma, è un focus sull’evoluzione della fotografia in questo primo quarto di secolo. Ci racconta come, per gli artisti e le artiste che ho invitato, la Fotografia non sia più mera riproduzione del reale, ma sia piuttosto una rivelazione, un’evocazione e non più una dichiarazione. Per gli artisti e le artiste, la Fotografia diventa un mezzo per fare luce sulle indagini su cui loro indagano, che nascondono quasi ai nostri occhi, per andare a rivelare quella che è l’invisibilità dell’immagine stessa. Ho invitato in tutto undici artisti, provenienti da generazioni differenti e luoghi dell’Italia differenti. Ciò che li accomuna è il fatto di trovarsi uniti nell’indagine della Fotografia, come un vero e proprio mezzo di rivelazione. In sottofondo si avverte un suono che proviene da una performance praticata dall’artista Davide Tranchina e il DJ Roberto Balli, in onore all’inaugurazione della Quadriennale ed è un richiamo all’opera che lui ha prodotto per la stessa Quadriennale, dedicata allo spazio e alla ricerca dell’invisibilità e di un futuro oltre i limiti. Aprono la mostra le opere “Una volta stellata”, di Giovanni Ozzola, le opere di Jacopo Benassi e le fotografie di Linda Fregni. Tutti e tre questi artisti ci sottolineano quanto sia enigmatica la realtà che viene presentata dalle immagini e quanto dobbiamo andare oltre il significato superficiale delle immagini, per cercare una realtà diversa da quella che vediamo e invisibile ai nostri occhi. Francesco Bonami, curatore “Memoria piena. Una stanza solo per sé”, è il titolo della mostra da lei curata all’interno della diciottesima Quadriennale. Di che cosa si tratta? Qui dentro ci sono 12 artisti, ognuno col proprio spazio. La mia idea non era quella di creare una mostra di gruppo che avesse un filo rosso che teneva insieme le varie opere, i vari artisti, ma dare l’opportunità ai 12 artisti di fare delle piccole personali, che anche lo spettatore può godersi in modo più classico e semplice. Per esempio, c’è un artista che si chiama Jem Perucchini, che presenta un solo quadro, altri ne presentano un po’ di più, però, io credo che ci sia possibilità di respirare, dentro questa sezione. “Memoria piena”, si riferisce a me che ormai ho raggiunto i 70 anni e faccio il curatore da più di 40, quindi, la mia memoria è quella di un vecchio computer, completamente piena. Dunque, ho dovuto liberarne un po’, per trovare 12 artisti. Francesco Stocchi, curatore “Senza titolo”, la sezione con la sua curatela, presenta i lavori di nove personalità artistiche, eppure, l’impianto appare come una collettiva. È così? La mostra che presentiamo è una mostra senza tema e si chiama “Senza titolo”. Non si preoccupa di mostrare una serie di opere intorno a un tema, ma in realtà è la mostra stessa - per come è stata concepita – che attiva delle relazioni e favorisce il dialogo. È stata un’occasione per riunirci con gli artisti e discutere. Ritengo che sia uno degli aspetti mancanti. Ci sono tanti individualismi: buoni, meno buoni, eccelsi, ma la dimensione dello scambio viene meno. Questa mostra, invece, cerca di restituire questa dimensione e, quindi, affronta i problemi dell’isolamento e della creatività individuale. Ci sono nove artisti e tutta la mostra è stata seguita in maniera collegiale, senza compromessi, discutendo e confrontandoci. Possiamo dire che la mostra è un’opera collettiva unica. Alessandra Troncone, curatrice “Il corpo incompiuto” è la sezione che lei ha curato per la Quadriennale. Come lo avete trattato? È una sezione che riunisce nove artiste e artisti che si confrontano con la rappresentazione e narrazione del corpo contemporaneo, nelle sue tante dimensioni; la dimensione più corporea, carnale, ma anche quella legata al codice D.N.A., come appariamo – per così dire – dal nostro interno. È una sezione che riunisce artiste e artisti da un punto di vista tematico, ma anche generazionale, perché vi troviamo persone che sono nate tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso. Mostra anche una varietà di media, di linguaggi, che vanno dall’installazione, alla performance, alla Pittura, alla Scultura e fino alla Fotografia. Walter Guadagnini, curatore La Quadriennale 2025 dialoga a distanza con quella del 1935. Come avete selezionato gli artisti di quella storica edizione da mettere in mostra oggi? “I giovani e i maestri: la Quadriennale del 1935” racconta, attraverso una quarantina di opere, quella che è stata la Quadriennale storica del 1935. Una Quadriennale che vedeva la presenza di 1.700 opere e 700 artisti, quindi, abbiamo dovuto scegliere un criterio. Il criterio è stato quello di chi aveva le sale personali e di chi era stato premiato. Troviamo alcuni dei nomi più grandi della Pittura italiana di quel tempo: da Morandi, a Mafai, a Scipione, Arturo Martini, Severini e potremmo continuare a lungo. Resta il fatto che qui abbiamo scelto alcune delle opere più significative esposte in quella Quadriennale e in quella Quadriennale si è dimostrato come l’Arte italiana fosse davvero in un periodo di straordinaria vitalità.

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Quadriennale di Roma, un'edizione Fantastica

Sabrina Rappoli