In che direzione sta andando la letteratura giapponese?

Immaginate se il 3 luglio scorso, nella splendida cornice del Ninfeo di Valle Giulia a Roma, Pino Strabioli, presentatore della grande serata, invece di proclamare il nome di Andrea Bajani, che ha trionfato nell’edizione di quest’anno con “L’anniversario”, avesse detto: “Non c’è alcun vincitore”. Potrebbe sembrare una scena del cinema dell’assurdo, degna di una sceneggiatura di Nanni Moretti e invece è più o meno quello che è successo in Giappone un paio di settimane fa. Due dei principali riconoscimenti letterari, l’uno dedicato agli emergenti e l’altro agli autori già affermati, non sono stati assegnati o meglio i romanzi candidati sono stati valutati come “inammissibili”. Sui siti web dei premi Akutagawa e Naoki si legge una comunicazione asciutta e perentoria che recita così: “Il comitato ha stabilito che non ci sono opere idonee”. Una notizia che ha destato curiosità anche in Occidente, soprattutto perché dell’Akutagawa si era parlato massicciamente poco più di un anno fa, quando fecero scalpore le dichiarazioni della scrittrice Rie Qudan: l’autrice assegnataria durante la conferenza stampa successiva alla cerimonia di premiazione dichiarò di aver scritto parte del libro con l'intelligenza artificiale e di essersi confrontata con il chatbot di OpenAI per costruire la trama. Tanto rumore a Ovest, poco a Est, dove i giudici non ne fecero un dramma sottolineando, piuttosto, la qualità del romanzo definito “universale, ironico, divertente”. Diversamente, quest’anno la giuria ha riscontrato nei libri in concorso un deficit di originalità e innovazione. Per capire cosa sta succedendo tra gli scaffali delle librerie del Paese del Sol Levante ci siamo rivolti a Gianluca Coci, traduttore e professore di Lingua e letteratura giapponese all’Università di Torino. Innanzitutto, Professore, non è la prima volta che il premio non viene assegnato. Il premio Akutagawa con una media di una volta ogni 5-6 anni, fino agli anni ‘70-80, non veniva assegnato, e per il premio Naoki vale lo stesso discorso, anche se con una frequenza minore di mancate assegnazioni. Quello che va sottolineato è che sia il premio a Akutagawa sia il premio a Naoki venivano da un lungo periodo di continua assegnazione, che proseguiva per l’uno da circa una quindicina d'anni, mentre per l’altro da addirittura vent’anni opiù. Alla luce di questo trend non aver assegnato contemporaneamente entrambi i premi, che sono poi in realtà abbastanza indipendenti, è effettivamente un qualcosa che ha suscitato un certo clamore. Ma in tutta sincerità era diverso tempo che me lo attendevo e che da esperto, come tanti miei colleghi, me lo auguravo, perché il livello della narrativa, della letteratura giapponese, si è notevolmente abbassato negli ultimi anni. Cosa intende? Basti guardare all'ultimo nome importante ad aver ricevuto l’Akutagawa: parliamo di Murata Sayaka nel 2016 che poi è effettivamente diventata abbastanza famosa. Dopo di lei c'è un lungo elenco di autori non troppo conosciuti, e alcuni di questi non dico che abbiano abbandonato la scrittura, ma quasi. Ecco, per queste ragioni la decisione era prevedibile, anzi auspicabile. Ci chiedevamo: ma è possibile che da tanti anni questo premio continui a essere assegnato nonostante il livello si sia abbassato così tanto? Per quali ragioni si è abbassato livello? Il primo fattore che mi sento di individuare è il cambiamento epocale che stiamo vivendo: la digitalizzazione, i social e così via. Purtroppo la predisposizione naturale verso la scrittura, e intendo verso la scrittura artistica letteraria, continua a decrescere. È chiaro che i più giovani sono sempre meno abituati al lavoro dello scrittore. Il romanzo, sappiamo, è un lavoro che richiede un grande impegno, grande pazienza, costanza. E l'epoca contemporanea, secondo me, non è più tanto adatta a questo esercizio. Poi è ovvio che continuano ad esserci scrittori e scrittrici bravi, anche in Giappone, però, rispetto al passato, sono più rari. Ne fa un discorso generazionale? Per la prima volta nella letteratura moderna e contemporanea giapponese c’è una voragine: se pensiamo agli autori e autrici giapponesi più famosi e noti, troviamo tutti nomi ormai vicini alla cinquantina. Fino a 15-20 anni fa, c'era sempre una schiera di autori e autrici trentenni, che erano comunque importanti e noti anche a livello internazionale. Adesso, per la prima volta, c'è un buco, c'è un vuoto assoluto. Ci sono bravi autori e autrici trentenni, qualcuno anche ventenne, ma nessuno di così eclatante, nessuno di così famoso, nessuno per il quale e per la quale si possa dire che saranno i prossimi Murakami, i prossimi Banana Yoshimoto, e così via. Quanto, secondo lei. è un problema giapponese e quanto globale? Io lo vedo in assoluto come un fenomeno globale, perché, lo sappiamo, se si legge meno, di conseguenza si scrive sempre meno e si è soprattutto, come dicevo prima, meno predisposti alla forma romanzo che richiede una soglia di concentrazione molto alta, sia per chi legge sia per chi scrive. Una volta, a fronte di 100 potenziali scrittori, 4 o 5 riuscivano a farcela. Oggi i numeri sono diversi e il numero di chi ci prova si avvicina più alla decina che al centinaio. C’è chi ha interpretato questa decisione alla luce di quelle che erano state le dichiarazioni rilasciate l'anno scorso dal comitato del premio a proposito di Rie Qudan e quindi quasi come un invito a utilizzare strumenti nuovi e a prendere esempio dalla scrittrice di "Tokyo Sympathy Tower"… Al momento secondo me no, perché sarebbe prematuro. L’intelligenza artificiale non va ancora molto d'accordo con la creatività più pura. Poi forse fra 20, fra 30, fra 50 anni il discorso cambierà. Ci troviamo ancora in un periodo “primitivo” in questo senso. Bisognerebbe al contrario invitare ad allontanarsi dall'uso forse spropositato dell'intelligenza artificiale, dei social e della tecnologia per tentare di recuperare un approccio creativo genuino, se vogliamo, primordiale, che poi, unito sapientemente all'uso della nuova tecnologia, potrebbe portare a qualcosa di molto positivo e innovativo. Mettendo a fuoco le dinamiche del premio di quest’anno mi viene in mente un altro motivo che potrebbe aver portato alle mancate assegnazioni: l’ingresso nella giuria dell’Akutagawa di Kawakami Mieko, una scrittrice molto forte, esigente, che sa imporsi. La traduco dal giapponese all'italiano e penso che potrebbe aver suggerito di non eleggere nessuno per scuotere una situazione stagnante. Certo è che, per quanto sia una decisione con dei precedenti, non è scontata, perché si riflette sulle vendite e rappresenta una mancata occasione di portare i libri giapponesi fuori dai confini, visto che diversi vincitori del premio vengono poi tradotti all’estero. Per citare gli ultimi: “Hunchback” di Saou Ichikawa, “May You Have Delicious Meals” di Junko Takase e “Tokyo Sympathy Tower” di Rie Qudan, quest’ultimo arrivato anche in Italia nei mesi scorsi. Certo la mancata assegnazione di quest’anno è un fatto naturale ma non scontato, perché poi ci sono interessi sulle candidature, ma nonostante tutto questo momento era atteso come il famoso Big One, il grande terremoto ipotetico. A pensarci bene il fatto che sia normale che i premi non vengano assegnati e che, anzi, ci siano molti precedenti è curioso. Si immagina se succedesse con lo Strega o con il Campiello? Beh, fa bene a fare il paragone, fa riflettere. Però c’è da dire che il livello della nostra letteratura e di quella, diciamo così, occidentale, è in generale superiore a livello giapponese. In che senso? Nel senso che il mercato editoriale giapponese è sconfinato perché è molto più facile arrivare alla pubblicazione rispettando un certo schema. Se da noi arriva alle stampe uno scrittore su cento, in Giappone 50 su 100… non dico tutti, ma quasi. Questa facilità nell'arrivare alla pubblicazione porta poi a un abbassamento del livello generale. Cioè, da noi, evidentemente, i premi vengono sempre assegnati perché i nostri scrittori sono veramente selezionati. Difficile quindi non trovarne neanche uno degno di un riconoscimento. In Giappone si punta soprattutto alla quantità e poco alla qualità. Quali prospettive intravede? È un bene che il premio non sia stato assegnato perché questo potrebbe essere uno stimolo per le case editrici, perché di fatto sono le case editrici che sono dietro i premi in Giappone e che li spingono. Tra l'altro, vincere un premio, soprattutto l’Akutagawa e il Naoki, significa poi moltiplicare le vendite all’ennesima potenza. Quindi è una lezione, una lezione che, secondo me, la giuria ha voluto dare alle case editrici. Parliamo dei due premi più importanti? Sono quelli più noti. Poi, in realtà, dal punto di vista della qualità letteraria, ci sono probabilmente altri premi che invece valgono qualcosa in più, come per esempio il premio Mishima, che fa meno notizia ma che punta tutto sulla qualità. Dunque, dietro il Naoki e l'Akutagawa c'è una delle maggiori case editrici giapponesi e abbastanza mainstream. Dietro il premio Mishima c'è un editore più di nicchia Per fare un paragone sarebbe una specie di Adelphi. Quella legata all’Akutagawa potrebbe essere invece associata al gruppo Mondadori. Se la letteratura giapponese si trova in questo vicolo cieco è quindi anche colpa delle case editrici? Le posso dire che adesso ci sono alcuni autori e autrici che addirittura rinunciano a scrivere per le case editrici major e tentano la via dell'indipendenza. Ci sono scrittori come lo stesso Hideo Furukawa o anche Randy Taguchi, entrambi autori che ho tradotto, che sono davvero anticonformisti e non hanno agenti letterari, cercano di promuoversi da soli e soprattutto Taguchi Randy da ormai 15 anni circa non pubblica con gli editori principali. Sono piccoli movimenti che testimoniano una realtà dove effettivamente c'è maggiore creatività, dove c'è voglia di cambiare le cose, purtroppo però poi non c'è la predisposizione delle case editrici a raccogliere questi cambiamenti. Possiamo essere ottimisti? Beh, forse gli scrittori giapponesi più bravi, includo anche i giovani, sono scrittori che chissà se vedremo mai pubblicati, se leggeremo mai, perché effettivamente per arrivare alla pubblicazione devono scendere a compromessi con l’editoria e subire poi pressioni anche sul contenuto dei romanzi, perché se poi in Giappone non si scrive in un certo modo, se si va oltre certi argomenti, se si è troppo trasgressivi, diventa poi difficile arrivare in libreria. Parliamo dopotutto di un Paese, a livello sociale e politico, profondamente ostile al cambiamento.

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Ludovica Passeri