Lo Strega e noi, perché “L’anniversario” di Bajani ci parla

Nel frontespizio sembra quasi assecondare un istinto umano di autoconservazione e protezione con un sottotitolo che riporta tutto al piano della fiction o auto-fiction: “Un romanzo”. È come se Andrea Bajani a questo libro ci fosse arrivato piano piano e il suo sia stato un lento avvicinamento. Il padre despota che incontriamo ne “L’anniversario”, vincitore del Premio Strega 2025, lo avevamo già conosciuto. Nel 2022 ne “Il libro delle case” ci aveva raccontato la storia di un uomo che per convenzione chiama “Io” attraverso i luoghi in cui aveva lasciato traccia di sé. In quelle 256 pagine aveva fatto la sua comparsa a sprazzi una figura paterna complessa, chiamata, sempre per convenzione, Padre, con le sue decisioni insindacabili e i suoi silenzi giudicanti, assieme a una figura materna incolore, Madre. Era nell’aria: può darsi che Bajani si stesse preparando e sentisse da qualche parte bussare il desiderio, l’urgenza, la necessità - solo lui conosce la definizione giusta - di farci entrare in quell’universo “concentrazionario”, di cui ci aveva fornito i primi dettagli. Se si ricostruisce il puzzle, tutti i tasselli combaciano. Ne ”L’anniversario” si entra nelle pieghe di quel nucleo familiare accennato in precedenza, fatto di un figlio vile, di una sorella antagonista e di due genitori anomali, l’uno totalitario, l’altra muta. Il punto però non è fare le pulci autobiografiche, e capire in che misura sia vero e quante di quelle situazioni raccontate, tra scontri fisici, litigi, ossessioni, soprusi psicologici, siano realmente accadute. I riferimenti che coincidono con la vita dell’autore sono diversi, a cominciare dal fatto che come l'Io narrante che decide di rompere ogni legame con il passato ha costruito la sua esistenza in un altro continente, ma per Bajani la forza del romanzo è proprio la capacità di sfuggire alla dittatura della realtà. La storia è talmente verosimile che anche se non fosse vero nulla importerebbe poco perché senza fronzoli, con un lessico degno di un trattato di politologia, l’autore ci spiattella il patriarcato nel suo estrinsecarsi, uno schema di subordinazione che molti lettori hanno conosciuto in quanto figli, in quanto nipoti, testimoni diretti o indiretti, in forme più o meno vicine a quella estrema della famiglia de ”L’anniversario”. No, quanto ci sia di autentico non ci interessa. C’è da farsi piuttosto due domande. La prima è pretenziosa e forse un po’ fine a se stessa: arriva un momento nella vita di uno scrittore, di un uomo, in cui ci si sente pronti a fare lo sforzo di liberazione, di partire dal punto in cui il proprio viaggio esistenziale è cominciato, la casa in cui si è cresciuti con le persone che ci hanno cresciuti, pur con i mille filtri offerti dal romanzo, pur trasfigurando e inventando? Sicuramente non c’è una regola, ma a voler cercare coincidenze, non si può non notare che Bajani ha più o meno la stessa età in cui Francesco Piccolo pubblicò ”Il desiderio di essere come tutti”, memoir a sua volta vincitore dello Strega. Sarà la soglia dei cinquant’anni a essere determinante? Lasciamo l’interrogativo aperto, mentre ne apriamo subito uno nuovo. C’è da chiedersi perché la vita vissuta, vera o verosimile, che diventa romanzo, sia quello che cerchiamo dai romanzi, o meglio chiedersi perché la vita vissuta familiare sia quello che cerchiamo dalla letteratura contemporanea, almeno a giudicare da un premio importante, che vuole essere il più rappresentativo del gusto e degli umori della cultura italiana, come quello in questione. Bajani ha trionfato anche nello Strega Giovani, convincendo la giuria di studenti della scuola secondaria. Non è la prima volta che succede. I libri vincitori delle ultime edizioni hanno due cose in comune: aver vinto lo Strega Giovani, appunto, ed aver messo al centro, in modi diversi, l’essere genitori e l’essere figli. Così, mentre il dialogo intergenerazionale sembra sempre più difficile, una volta l’anno da tre anni abbiamo potuto quantomeno illuderci che non sia così impossibile e che abbiamo tutti bisogno, vecchi e giovani, di romanzi che parlino di famiglia e di famiglie, che in fondo si somigliano un po’ tutte. Per lo stesso motivo, forse, da un quarto di secolo va in onda con enorme successo un programma che narra faide degne della soap americana più surreale, in cui due o più contendenti sono divisi da una busta che si apre solo se il conflitto è appianato. Storia che ci sembrano tanto assurde e montate, fino a quando non ci rendiamo conto che anche la nostra di famiglia potrebbe fornire dell’ottimo materiale per una puntata.

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