Michela Panichi: “La nuova generazione di scrittori ha tanto da dire”

Due anni fa aveva il pass da visitatrice, in questa edizione ha varcato la soglia del Salone del Libro come scrittrice. Dopo essersi aggiudicata il Premio Campiello giovani appena uscita dal liceo e aver debuttato con un racconto edito da Effetto Edizioni nel 2024, Michela Panichi, classe 2000, ha presentato in questi giorni a Torino il suo romanzo d’esordio, fresco di pubblicazione, “La Cecilia”. In quel grande palcoscenico che è la fiera più importante d’Italia, il frastuono della politica e dei grandi ospiti internazionali rischia di coprire le voci nuove della letteratura per cui il Salone non è un traguardo ma il principio. Eppure i “ragazzi che scrivono”, come li chiama lei, hanno tante cose da dire, bisogna solo mettersi in ascolto, senza pregiudizi e banalizzazioni. Come hai cominciato a scrivere? Io in realtà sono nata con le fanfiction, quindi parliamo di siti di fan di vari libri: io scrivevo su Hunger Games, scrivevo su Divergent e la cosa bella di queste piattaforme era che c'era la possibilità di recensire e quindi si creava una comunità di persone che scrivevano, che si conoscevano, che si davano una mano vicendevolmente, che si confrontavano. Ed è quello che poi ho trovato anche negli altri esordienti che conosco di quest'anno, dell'anno scorso. C'è una grande comunità di ragazzi che scrivono e questo è coinvolgente e bellissimo. Cosa porta “La Cecilia” nel dibattito? Volevo scrivere qualcosa di molto onesto e il massimo dell'onestà probabilmente lo potevo raggiungere scrivendo di una generazione che non fosse tanto lontana dalla mia, di un'età che non fosse tanto lontana dalla mia, anche perché sono abbastanza ossessionata dalla memoria e dalla memoria che si allontana e che si perde. Ho inserito tanti ricordi risalenti ai miei 13 anni e mezzo, 14 anni, all'interno de “La Cecilia” e probabilmente mi ha aiutato anche a esorcizzarli in qualche modo. C'è sicuramente tanta vita. Quanto parla della tua di vita? Abbastanza, però sicuramente l'esperienza di vita è diversa, ma ci sono tanti ricordi che appartengono alla mia storia e probabilmente le persone che mi conoscono noteranno che ci sono dei riferimenti abbastanza espliciti. A partire da Sant'Angelo, la mia Sant'Angelo, vissuta e localizzata con le sue geografie psicologiche dell'amore e dell'affetto che sono legate a quel luogo. I luoghi sono raccontati nel mondo in cui li ho vissuti io. Non è mai bello parlare di temi quando si parla di libri, perché rischiamo sempre di banalizzare, però possiamo individuare un macro argomento che attraversa tutto il libro: il genere, la ricerca d'identità, il percorso che c’è dietro. Cosa può portare di nuovo e diverso la tua generazione rispetto alle altre? Mi sono resa conto che moltissimi esordienti, soprattutto se donne, parlano di corpo. E io volevo provare a trattare il tema del corpo attraverso l'utilizzo di una bugia. La mia protagonista fa finta di essere un maschio e fa finta perché si rende conto che il corpo dei maschi è più comodo del suo. E a quel punto inizia a vivere una doppia esperienza di maschio e di femmina e riesce a identificare quali sono le ipocrisie e quali sono le aspettative sociali legate al genere a cui si appartiene. Quindi sì, è un racconto sicuramente di identità e anche di identità di genere, ma cerca soprattutto di trovare un'alternativa alla binarizzazione dei generi, cerca di trovare un'alternativa alla rigorosa distinzione tra maschio e femmina e la cerca nel regno degli animali. Per questo Cecilia, che è un anfibio e che in quanto tale può essere sia maschio che femmina, si muove in maniera fluida tra questi due poli. C’è un politico che dovrebbe leggere “La Cecilia” o che ti piacerebbe lo leggesse? Chissà, sono tutti fissati ormai con il gender e con la convinzione che sia una forma di indottrinamento. Forse direi Eugenia Rocella perché è la Ministra della famiglia, ma quello che penso è che mi piacerebbe che lo leggessero nelle scuole, che ne parlassero. Non voglio però che sia visto come un libro a tesi: è un romanzo che cerca di descrivere in maniera onesta quella che è la pressione sugli adolescenti legata al loro sesso. Un libro che dovrebbero leggere i genitori? Sì, come lo devono leggere i ragazzi, probabilmente anche i genitori. Perché Cecilia comunque all'interno del romanzo si rivolge spesso ai genitori e cerca di essere visibile, di essere vista, di essere considerata. Dentro questa storia è importante la comunicazione e la mancanza di comunicazione. All'interno de "La Cecilia" abbiamo una ragazzina di 14 anni che lo racconta nella maniera melodrammatica degli adolescenti e quindi è importante considerare il suo disagio. Ma al di là della forma, i genitori non si ricordano cosa significa essere figli, non si ricordano il disagio dell'adolescenza e lo minimizzano.

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