Tutto il tempo del Kintsugi, l’arte del restauro giapponese

Il kintsugi , o kintsukuroi , è una tecnica di restauro giapponese antichissima, risalente – secondo alcune fonti – al XV secolo. Il suo nome deriva da kin e tsugi , quindi “unione dorata”. È una pratica raffinata, che consiste nel restaurare antiche ceramiche giapponesi con l’uso di lacca urushi e polvere d’oro. Non è una tecnica semplice da apprendere e, in Italia, sono pochi – anzi, pochissimi – a padroneggiarla. Tra questi, la restauratrice Anita Cerrato, che ha iniziato nel 2015, "a cinque anni dall'inizio della crisi dell'arredamento", spiega a Sky tg24 Insider. “Avevo molti fogli d’oro avanzati dal restauro delle cornici”, racconta la restauratrice. “Ho iniziato cercando online parole come “oro”, “ciotola” e poi “Giappone”, perché sono sempre stata affascinata dalla cultura orientale. Poi è uscita un’immagine – allora c’erano pochissime informazioni in rete – e da lì tutto è iniziato. Sono andata in Giappone a cercare l’urushi, la lacca necessaria per ogni passaggio e, grazie all’aiuto di un’artista giapponese che si trovava in Italia, sono stata introdotta a un maestro di Kyoto. Da lì ho potuto affinare la tecnica”. Oggi Cerrato si è specializzata con la guida della maestra Iku Nishigawa e del maestro Sato Takahiko, di Kyoto. Un’arte che richiede tempo Ma in cosa consiste davvero questa tecnica di restauro? E quanto tempo richiede? Sicuramente, sono indispensabili pazienza, precisione e molta cura. “Si parte dall’urushi, una resina estratta dalla pianta Rhus verniciflua, autoctona in Giappone”, spiega Cerrato. “Esistono varietà anche in tutto il Sud-est asiatico, ma la più pregiata è quella nipponica. A quel punto, la lacca viene leggermente depurata e, nella sua forma neutra, prende il nome di kiurushi . Si usa per incollare i frammenti, miscelandola a farina di grano . Dopodiché, si stucca unendo l’urushi al tonoko . Infine, si applicano diverse mani di urushi e, quando è quasi asciutto, si spolvera l’oro”. “La lacca – continua Cerrato – per polimerizzare ha bisogno di stare in un’armadiatura chiamata muro, mantenuta a 20 gradi e all’80% di umidità. Bisogna poi fare attenzione alle condizioni atmosferiche: d’estate potrebbe volerci meno tempo per asciugare, d’inverno di più. Ogni fase richiede tempo: si incolla, si aspettano due settimane; si stucca, se ne aspettano altre. In media, ci vogliono tre mesi”. Non solo oro “Molti conoscono solo il kintsugi, ma esistono anche altri tipi di restauro”, racconta Cerrato. “Ad esempio, il gintsugi , dove gin sta per argento, quindi si utilizza questo materiale al posto dell’oro; oppure l’urushitsugi, che non prevede l’uso di polveri metalliche, ma si lascia visibile la lacca”. Tra Oriente e Occidente “In Giappone, il kintsugi è una tecnica di nicchia, molto costosa, che si applica solo a oggetti antichi”, spiega la restauratrice. In Europa, invece, la prospettiva è diversa: “A livello antiquariale, una ceramica restaurata perde valore. È un tema controverso, perché molti vogliono riparare oggetti che hanno un valore affettivo, e restaurarli con l’oro ne aumenta il significato e il valore simbolico”. Le cicatrici vere Dal 2018, il laboratorio Kintsu Handmade di Anita Cerrato porta il Kintsugi in luoghi dove le cicatrici non sono simboliche, ma reali. “Abbiamo iniziato organizzando corsi presso la Breast Unit degli Spedali Civili di Brescia, con donne operate al seno. Poi siamo arrivati all’Unità Spinale Unipolare dell’Ospedale Niguarda, alla Comunità Psichiatrica dell’Ospedale San Paolo di Milano, alle Case Famiglia per le donne vittime di violenza domestica”, racconta. Cerrato opera anche nelle RSA, con anziani affetti da Parkinson o Alzheimer. In questi casi, la tecnica viene adattata: “Utilizziamo le fotografie, creando dei collage con il kintsugi. L’idea è quella di riaccendere i ricordi”.

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