Juan Gómez-Jurado: "Ho scritto Regina Rossa pensando al me 13enne divoratore di libri"

Non scrive per la critica, per i premi, per l’immortalità. Juan Gómez-Jurado, lo scrittore di thriller spagnolo più venduto di sempre e superstar internazionale, scrive per divertirsi e riconnettersi con il bambino che è stato. E questo atteggiamento scanzonato lo si ritrova con coerenza nel modo in cui interagisce con il pubblico del Noir in Festival di Milano, la rassegna che lo ha visto protagonista con il suo ultimo libro pubblicato in Italia “Tutto torna”, edito da Fazi. Nessuna distanza tra lui e i lettori. Scherza, abbraccia, posa con il sorriso a trentasei denti riproducendo facce buffe. Un vero mattatore. Chiede ai presenti di dirgli tre parole a caso: una città, un luogo, un oggetto. In pochi secondi improvvisa una storia. “Sono un contador de historias”, ripete spesso. La letteratura per Gómez-Jurado è uno straordinario gioco e come in tutti i giochi per vincere ci vuole anche impegno e dedizione. Nel suo caso parliamo di riscritture su riscritture, di ricerca ostinata di suspense e pathos, di impianti narrativi stratificati. I risultati si misurano con le vendite e con l’affetto dei lettori. Si diverte al punto che non lascerebbe mai andare il manoscritto. Lo incontriamo sapendo che l’unico tabù è la trama del romanzo, specie dell’ultimo. Lui con un passato da giornalista non tollera che si facciano spoiler e che si tolga ai lettori il piacere di ritrovarsi spaesati e smarriti dopo l’ennesimo sconvolgente coup de théâtre. Con la trilogia Regina Rossa che è diventata anche una serie TV Amazon Prime ha raggiunto il successo globale. Continua a muoversi in quell’universo ad alto contenuto di adrenalina con i primi due libri della nuova trilogia “Tutto brucia” e l’ultimo arrivato in Italia “Tutto torna”. Dopo tutto il successo di Regina Rossa come ha gestito la pressione e come è riuscito a voltare pagina? È abbastanza difficile rispondere a questa domanda risultando credibile, perché di solito nessuno mi crede quando dico che la pressione non esiste. Penso che la pressione esista solo quando il libro è finito. Quando scrivo, l'unica cosa a cui penso è scrivere. Tutte le copie che ho venduto diventano il passato perché se fosse per i lettori non dovrei mai abbandonare gli stessi personaggi. Cerco di dimenticare il più possibile che ci sono delle aspettative, dimentico tutto quello che è venuto prima. Come nascono le sue storie? Sono abbastanza egoista. Mi piace scrivere solo storie che avrei voluto leggere da ragazzino, in quel momento magico dei miei 13 anni. Cominciavo a leggere libri per adulti con grande passione. Li bevevo. Quando mi metto al computer penso allo Juan che entrava nel mondo dei grandi con entusiasmo e scopriva la letteratura. E mi chiedo? Cosa vorrebbe leggere? Le donne, donne coraggiose e controcorrente. sono al centro del tuo lavoro: esiste una sorta di riappropriazione femminista del genere thriller? Dato che sono un uomo, questa è una domanda straordinariamente interessante. Penso che ciò che conta è l'esperienza umana. Mi chiedono molto spesso perché creo così tanti personaggi femminili. Eppure sai cosa non mi chiedono mai? Perché sono così bravo a raccontare serial killer, che tra l'altro sono tutti uomini. Non so se le tante donne a cui do vita arrivino da un’esigenza del mio inconscio di riportare il femminile al centro della scena. Mi piacerebbe fosse così, ma non penso. Sempre parlando di genere, ti senti parte di una tradizione di thriller mediterraneo? Ti piace questa definizione? Penso di sì. Di questo abbiamo parlato molto negli ultimi giorni di Noir in Festival. Donato Carrisi, Giorgio Faletti, Sandrone Dazieri, i grandi autori italiani di thriller, sono riusciti prima di noi spagnoli a trovare un modo per bilanciare la tradizione anglosassone, improntata sul razionalismo, mettendo a punto un modo di scrivere molto più vicino alla tua cultura e alla mia, alla vita di tutti i giorni. Le nostre storie sono piene di canzoni, c’è tanta indagine sulla mentalità, attitudini inconfondibilmente mediterranee. E quali sono le sfide nello scrivere thriller oggi? Che il lettore conosce sempre di più, che il lettore è sempre più intelligente, che il lettore ha sempre più informazioni a portata di mano. Abbiamo un competitor difficile: gli schermi. Quindi devi scrivere divertendoti, devi raccontare storie che siano rilevanti per il lettore di oggi e poi soprattutto non perdere di vista di essere tu stesso lettore. Penso di essere molto più un lettore che scrittore. Così come gli esseri umani condividono il 60% del loro DNA con il moscerino della frutta, il lettore e lo scrittore condividono il 99% delle loro caratteristiche genetiche. Alla fine uno scrittore è un lettore che “ha straripato”. Potere, classi sociali, corruzione, violenza, Deep state, c'è tutto questo e molto altro nei tuoi romanzi, che sono anche sociali. Allo stesso tempo non dimentichiamo che sei anche stato un giornalista. Cosa ci raccontano i tuoi libri della Spagna contemporanea? Credo di non aver mai provato a raccontare la Spagna contemporanea. Ho provato a raccontare piuttosto i sentimenti dei miei personaggi di fronte alle sfide del mondo reale. Il mondo che ci circonda sembra sempre di più un thriller, visto che gli ingredienti dei thriller sono questi: un pericolo sociale, un pericolo fisico e il tempo che scorre. I miei personaggi corrono da tutte le parti, proprio come noi. Cosa ha capito del bene e del male dopo anni di scrittura? I miei protagonisti a volte si comportano come relativisti morali. In un modo che spesso non piace neanche a me. A volte fanno cose che mi disgustano, però credo che, sì, nei miei libri esista il bene ed esista il male. Ci credo davvero. In questo senso forse sono uno scrittore un po’ naif o ingenuo, non lo so. Ma non ho voglia di cambiare troppo il mio modo di essere, sai? Anche se i politici e i poteri forti ci vogliono polarizzare, ci parlano di bene e di male e io stesso credo che esistano il bene e il male nei miei libri, ritengo che non si esprimano in questa forma tradizionale del bianco-nero, ma che esista invece una dicotomia più complessa: “principi contro convenienza”. A volte i miei personaggi rinunciano a ciò che è più conveniente e comodo per seguire i propri principi. E questa credo sia una dicotomia più interessante rispetto a quella di bene e male. La tua vita è stata piena di colpi di scena. Hai scoperto di essere stato adottato a trent’anni e rotti. Hai scritto il tuo primo libro agli inizi degli anni Duemila in un momento molto difficile, dopo il divorzio. In che misura la tua storia personale ha plasmato il tuo lavoro di scrittore? Non so davvero come rispondere a questa domanda perché la verità è che non ci penso molto, perché è già implicito. Tutti i miei libri sono parte di me, ma io non sono i miei libri. I libri nascono dallo scrittore, ma tendono verso un ideale: l'ideale dell'avventura, del divertimento, l’obiettivo di tenere le persone agganciate alle pagine. Come si combina questo con l'idea dell'uomo di fronte a te, che è un ragazzo molto noioso, che lavora tutto il tempo, seduto davanti a un computer? Non credo che si debba romanticizzare troppo la figura dello scrittore. Anche se il rischio di romanticizzarlo è sempre dietro l’angolo. Io stesso cerco di evitarlo il più possibile, anche mentre lavoro cerco di ridimensionarmi. Penso che lo scrittore debba scomparire dalla scene il prima possibile. Che l'unica cosa che conta è la storia. Ci incontriamo nel giorno in cui in Spagna si celebra il Día de la Constitución, in un momento difficile, di grandi tensioni politiche quando ancora è aperta la ferita della Dana, l'evento meteorologico estremo che si è abbattuto sulla zona di Valencia provocando centinaia di morti. Che titolo darebbe a questo presente complesso? Nonostante le sfide aumentino e siamo tutti sempre più confusi e la tentazione sia quella di anteporre i propri interessi personali a quelli degli altri, credo che ancora una volta siano le vecchie storie a darci il tono e il percorso da seguire. E i vecchi ideali, i principi antichi da opporre alla mera convenienza di cui abbiamo parlato prima. Che titolo gli darei? Vorrei essere così brillante da poter rispondere alla tua domanda. Direi che è il momento di fermarsi e tornare ad essere creature “pensanti”. Sono pessimo anche nella scelta dei titoli per i miei libri, un cattivo titolista. “Todo vuelve”, “Tutto torna”? Non ci avevo pensato, ma non è male come titolo .

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Juan Gómez-Jurado: "Ho scritto Regina Rossa pensando al me 13enne divoratore di libri"