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Motoscafi Riva, icone di stile e saper fare italiano

Lifestyle

Sabrina Rappoli

Sono protagonisti di film, spot pubblicitari, videoclip e ambiti dal jet set internazionale. Sono i motoscafi Riva, eccellenza italiana che il mondo ci invidia. Per la rubrica FLASH siamo stati a Sarnico, sul Lago d'Iseo, a visitare i cantieri del famoso marchio

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È sinonimo di lusso, il marchio Riva e lo è di stile, eccellenza e saper fare italiano. Passeggiando per i cantieri dove questi ambitissimi motoscafi prendono vita, si capisce subito perché siano oggetti tanto desiderati e quanto facciano sentire unici chi li possiede.

Abbiamo incontrato, per la rubrica FLASH, Alberto Galassi l’amministratore delegato del Gruppo Ferretti, gruppo del quale il brand Riva fa parte da diversi anni.

Come si diventa un’icona e come si riesce a rimanere tale?

Io sono innamorato di questo marchio, del marchio Riva, da quando ero ragazzino ed è un amore che non è mai mutato e che le circostanze della vita non sono mai riuscite a scalfire, è un amore assoluto. Non lo sappiamo nemmeno noi, è un combinato disposto di tanta storia, tanta tradizione, tanta qualità, tanto stile, tanto saper fare italiano; perché soltanto gli italiani possono fare un prodotto come questo e la maestria di un genio, che è il fondatore di questa casa, che si chiama Carlo Riva, che vide in un'Italia devastata da una Guerra Mondiale persa, la possibilità di una rinascita industriale, come vide anche Enzo Ferrari.

Cosa cerca chi acquista un Riva?

L'essere riconosciuto per avere un prodotto diverso da tutti gli altri. Cerca l'appagamento personale, perché magari è un sogno che aveva da ragazzino che riesce a realizzare; cerca l'eccellenza in termini di materiali, di stile, di bellezza ed è sicuro che quando sarà al largo del mare o al largo del lago, lui non sarà mai una barca come le altre, lui avrà un oggetto diverso dagli altri, immediatamente riconoscibili e che in certi casi non soltanto dura nel tempo come bellezza immutata, vedete l'Aquarama, ma si rivaluta. Quindi è un oggetto naturalmente che fa categoria a sé.

 

Cosa direbbe a un alieno che chiedesse notizie sui motoscafi Riva?

Direi senz’altro: “Voi avete tutto, avete la possibilità di viaggiare nel tempo e nello spazio, che noi avremo – forse – fra mille anni ma i motoscafi Riva non li avete”. In effetti, oggettivamente, è un oggetto che potrebbe fare invidia anche nello spazio; perché è veramente un concentrato di bellezza e di artigianalità italiana. Sono convinto che un Riva non potrebbe mai essere nato fuori da questo Paese. Cito sempre un fraterno amico, il fondatore di Dolce&Gabbana, Domenico Dolce. Lui, dice sempre: “Alberto, noi siamo italiani, siamo condannanti alla Bellezza”. È una frase bellissima, perché noi siamo circondati dal bello dal momento in cui siamo nati. Fuori da questo Paese, questa ossessione per lo stile, questa ossessione per i dettagli, non è vista allo stesso modo, ce l’hanno gli italiani. Piaccia o non piaccia ce l’hanno gli italiani e quindi è un dovere morale tramandarlo di generazione in generazione perché appartiene a tutti ed è uno dei più grandi vanti del nostro Paese".

 

Il Gruppo Ferretti detiene diversi marchi. Che posto occupa Riva?

Nel mio cuore è al primo posto. Lo dico sempre: se non ci fosse Riva, non sarei qui. Riva è il gioiello della corona, perché è il più famoso, il più imitato, il più copiato con minori risultati. Però, non è paradossalmente soltanto Riva, il gruppo Ferretti, anzi. Il gruppo Ferretti ha tantissimi altri marchi che contribuiscono come Riva o anche superiore a Riva, basti guardare la dimensione delle navi. Abbiamo marchi che fanno barche più grandi dai trenta metri in su, come Custom Line o CRN, che contribuiscono al conto economico del gruppo con numeri più importanti di Riva, perché - non dimentichiamo - Riva parte dai nove metri, arriva fino ai settanta, però, parte dai nove.

Quanto hanno influito le contingenze storiche sul mercato di questi oggetti?

Hanno attraversato grandi crisi, che sono le grandi crisi attraversate dal nostro Paese. Carlo Riva vendette l'Azienda - se non sbaglio - nel 1971/'72, nel momento in cui gli Anni di Piombo stavano cominciando, con i grandi scioperi e momenti di tensione sociale molto importanti. Lui mi raccontò di un episodio che lo sconvolse, avendo sempre avuto grande cura delle proprie persone, dei propri operai, lo sciopero con i picchetti davanti all'azienda, per lui era una cosa inconcepibile. Se torniamo con la memoria in quegli anni, io ero ragazzino, l'Italia era divisa, dilaniata da tensioni sociali. Successivamente il marchio passò di mano più volte, finì addirittura in mani inglesi e ha avuto momenti di grande difficoltà. Quando è stato acquisito e il Gruppo Ferretti è stato rilanciato, nel 2000, siamo arrivati noi. Noi, perché non ho fatto tutto io, anzi, ho manager più bravi di me, che lavorano con me, per fortuna, abbiamo rilanciato di nuovo Riva verso prodotti che non aveva mai fatto, barche più grandi, lo abbiamo riproposto, lo abbiamo ricomunicato, abbiamo tolto un po' di polvere da questo marchio.

Riva quanto riesce a fare “famiglia”?

È una comunità inossidabile di tifosi, appassionati, cultori, storici. Ci sono persone di grande competenza, vengono in Azienda, ci raccontano particolari, aneddoti che noi stessi ignoriamo. C’è una cultura, c’è un mondo, una storia, è più che una famiglia, è quasi una comunità con una fede religiosa, nei confronti di questo marchio. In Italia credo che solamente Ferrari abbia una cosa di questo genere.

Che rapporto hanno le vostre maestranze con il loro lavoro?

È una fede, un attaccamento, una passione che si tramanda di generazione in generazione. Noi, adesso, abbiamo fatto la scuola dei mestieri, dove formiamo dei ragazzi appena usciti dalle scuole superiori, che vogliono partire nel mondo del lavoro e la cosa incredibile è che tutti quelli che formiamo vengono assunti. Crescono con la voglia di saper fare, di saper fare italiano, con questa scuola dei mestieri, con la passione che li guida. Se lei è guidata dalla passione, tutto è più facile, il problema è fare una cosa che detesti di fare. Ma se tu stai facendo una cosa che ami fare, a volte non ti sembra nemmeno di lavorare. Io vedo le nuove generazioni, crescono respirando l'aria della storia. Lei immagini per un ragazzo avere le persone più importanti del mondo, che siano le rockstar, gli attori del momento, quelli che vedi in televisione o che vedi sui social, che vengono qui, parlano con te della loro barca. Sei consapevole che stai producendo una cosa speciale, per persone speciali, che finisce nelle mani migliori del mondo in tutto il mondo. Questo ti dà una linfa vitale, una voglia di fare e di migliorare incredibile.

Lusso e sostenibilità, un binomio indissolubile nel Gruppo Ferretti

Oggi si parla tanto di sostenibilità, quando poi di sostenibilità vera, fatta, fattuale, scaricata - come si direbbe - a terra, ce n'è pochissima, ce n'è stata pochissima. Noi abbiamo fatto un Riva elettrico, abbiamo preso il miglior marchio del mondo - questo non lo dico io - abbiamo preso una barca, l'abbiamo fatta “full electric”, per chi la vuole utilizzare nei laghi, nei mari, a emissioni completamente zero. Lusso è l'altra grande parola molto abusata. Il lusso dov'è? Cos'è? Cosa intendiamo per lusso? Intendiamo un paio di sneaker che costano una follia? O intendiamo un oggetto raro, prezioso, per pochi? Io ho visto passare nella categoria lusso, negli ultimi anni, tantissime cose. Ho visto passare cose che secondo me col lusso avevano ben poco a che fare, se non forse col lusso aspirazionale. Qui proviamo a fare entrambe, perché se parliamo di sostenibilità la facciamo veramente, se non ne parliamo e se parliamo di lusso, cerchiamo di fare una cosa che è guidata dalla qualità, dalla rarità, dal fatto di essere prodotti in pochi esemplari, dove la mano dell'uomo dimostra di essere ancora in grado di produrre dei capolavori. Non è un marchio affibbiato a un oggetto che naviga, che fa l'oggetto di lusso, è il contenuto, è lo stile, sono gli investimenti, il lavoro, i materiali che lo rendono un oggetto di lusso; la durabilità nel tempo, il modo in cui invecchia, il modo in cui si mantiene.

Che cosa si augura per il marchio Riva, in futuro?

Mi auguro che chi verrà dopo di me si ricordi della fatica che abbiamo fatto per portarlo dove è oggi e di quanta fatica dovrà fare per portarlo ancora più su. Ripeto: è un dovere morale, è più grande di noi. Riva è più grande di chi sarà a capo dell'azienda in quel momento. È un retaggio storico, è veramente una responsabilità per chi ha questo marchio, perché lo devi portare verso l'innovazione, non lo devi snaturare, devi guardare al passato, ma non puoi fermarti al passato, il mondo non si ferma neanche un secondo. Quindi, è un compromesso, un mix, è una difficoltà. Io dico sempre che noi balliamo sul ghiaccio sottile, è un attimo romperlo. Devi stare molto attento, va maneggiato con grande cura. Io mi auguro che chi verrà nei prossimi 10, 20 anni, 30 anni, 40 anni, porti avanti questo mito all'insegna dell'esclusività, del lusso dell'eleganza, del lavoro italiano, faccia crescere i ragazzi con questo spirito, con questa cultura, questa voglia di innovare senza dimenticare la storia, ricordandosi il valore che il nostro Paese, noi come italiani dobbiamo avere: la memoria. Ricordiamoci chi siamo e da dove veniamo.