Biblioteche degli oggetti, una seconda vita per gli attrezzi inutilizzati

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Federica Villa

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Foto: Leila Bologna

L’idea viene dall’estero e pian piano sta prendendo piede anche in Italia: si paga una quota di tesseramento, si dona un oggetto, e poi si può prendere in prestito quel che c'è a disposizione: frullatori, caschi, decorazioni per feste. "La frase che riassume il nostro approccio è: non mi serve possedere un trapano, mi serve fare un buco nel muro", spiega a Sky TG24 Antonio Beraldi, Founder & Project Manager di Leila, la prima Biblioteca delle cose italiana, nata nel 2016, a Bologna

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Trapani, frullatori e decorazioni per feste. Ma anche estrattori, caschi e palloni. Sugli scaffali delle Biblioteche degli oggetti non si trovano libri, ma utensili di ogni genere, pronti a essere presi in prestito all’occorrenza. L’obiettivo è quello di evitare gli sprechi e di favorire la condivisione di oggetti che, se no, verrebbero comprati e -probabilmente - usati molto poco. L’idea viene dall’estero, dalle Libraries of things nate in Germania, Regno Unito e negli Usa, e pian piano sta prendendo piede anche in Italia. "La frase che riassume il nostro approccio è: non mi serve possedere un trapano, mi serve fare un buco nel muro", spiega a Sky TG24 Antonio Beraldi, Founder & Project Manager di Leila, la prima Biblioteca delle cose italiana, nata nel 2016, a Bologna. 

L’esperienza di Leila Bologna

Il progetto bolognese ha preso slancio con il sostegno del Comune. Per i primi 4 anni è stato uno "spazio itinerante". Poi ha trovato base in via Luigi Serra. "Quando siamo partiti, registravamo a dir tanto due o tre condivisioni al mese. Ora, 8 anni dopo, abbiamo diversi mesi in cui ne registriamo anche 90. E da 300 soci, siamo passati a quasi un migliaio". La formula scelta è semplice: si paga una quota di iscrizione (20 euro, 15 per gli studenti) e ci si tessera, dopodiché si mette a disposizione della struttura un oggetto. In cambio, si possono prendere in prestito tutti gli utensili portati dagli altri tesserati, per un anno (poi l’iscrizione è rinnovabile). "Siamo un moltiplicatore, perché mettendo a disposizione un oggetto, i tesserati ne hanno poi a disposizione potenzialmente altri mille. In più, si fa del bene per l’ambiente e si riducono gli sprechi. Si risparmiano un sacco di cose dall’inceneritore e non si accumulano oggetti in casa che poi occuperebbero spazio e basta. Inoltre si spende meno", spiega Beraldi. "Con la nostra Biblioteca delle cose abbiamo iniziato a parlare in maniera sistematica di circolarità, di impatto ambientale, di riduzione dell’impronta ecologica di ognuno di noi". Non solo ambiente: Leila è diventata anche un servizio all'interno delle biblioteche comunali "per far loro riconquistare lo spazio che avevano prima", sia in città che in periferia. Nel progetto, inoltre, sono inclusi dei laboratori, "per condividere dei saperi e fare cose insieme: si va dall’incontro con l’esperto della stampante in 3D, fino ai workshop di falegnameria, cucito, fotografia", cercando di "intercettare tutte le anime della società, per un cambiamento di mentalità".

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Obiettivo: una rete nazionale

Oltre alla realtà di Leila in Italia ci sono altre iniziative simili. A Cinisello Balsamo, in provincia di Milano, per esempio, c’è PUF (Punto UniAbita Fondazione Auprema). Qui si possono donare o prendere in prestito oggetti, chiedere eventualmente consigli su come ripararli, e partecipare anche a laboratori di restauro o riuso creativo. A Palermo, invece, c’è Zero, una Biblioteca delle cose che dalla sua apertura, nel 2020, ha aperto tre sedi. I prestiti, come scritto sul sito web dell’iniziativa, sono circa 300 all’anno, gli oggetti a disposizione più di 200, così come gli utenti. E iniziative simili si sono sviluppate anche in altre parti del Paese, da Brescia a Ravenna, anche con l’aiuto della stessa Leila Bologna. "Nelle città, soprattutto, c’è bisogno di un approccio del genere, dove al centro ci sia la condivisione e il riutilizzo degli oggetti", spiega Beraldi. E il progetto, per il futuro, è proprio quello di creare una rete nazionale di Biblioteche delle cose, con un software comune e una web app per la gestione degli oggetti disponibili, dei prestiti in corso e dei tempi di attesa. Ma si punta anche a collaborare con nuovi interlocutori, come aziende, università - per aiutare gli studenti, soprattutto quelli fuori sede - e mercati rionali, da Milano a Roma. Lo spirito, però, rimane sempre lo stesso: comprare di meno, e utilizzare - e condividere - di più.

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