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The Concert Feature, la storia di Fantasia raccontata in un fumetto

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Gabriele Lippi

La graphic novel di Mario Petillo, coi disegni di Giorgia De Salvo e i colori di Patrizia Cocco, esplora la genesi di un capolavoro portandoci dentro la mente di un genio visionario e negli studios più amati del mondo

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Come nasce un capolavoro immortale? Da una visione, da un’intuizione apparentemente allucinatoria di un uomo che può sembrare folle e che invece, semplicemente, vede il futuro prima degli altri. Fantasia è nato così, da un incontro tra due menti brillanti, tra due geni del Ventesimo secolo, Walt Disney e Leopold Stokowski, da un cortometraggio già di per sé incredibilmente innovativo come L’Apprendista Stregone e dalla volontà di farne qualcosa di più grande e incredibile. La storia di come nacque Fantasia è raccontata in The Concert Feature. La Fantasia di Walt Disney (Poliniani Editore, 15 euro), graphic novel scritta da Mario Petillo, disegnata da Giorgia De Salvo e colorata da Patrizia Cocco. Ne abbiamo parlato alla Milan Games Week con lo sceneggiatore.

Per la tua prima graphic novel hai deciso di raccontare la musica, la cosa meno disegnabile del mondo. Chi te l’ha fatto fare?
Innanzitutto il fatto di essere figlio di due musicisti e di aver suonato il violoncello fino a 16 anni. La mia tesi di laurea è stata sulla funzione della musica nel videogioco e ho sempre avuto questa attenzione un po’ morbosa all’aspetto tecnico della musica. Fantasia è stato qualcosa di epocale, eravamo nel periodo in cui The Jazz Singer era già uscito da qualche anno e il sonoro era già arrivato al cinema ma mancava quel salto che Walt Disney è riuscito a fare, la possibilità di dire: vorrei massificare la sinestesia, perché solo Kandinsky può vedere la musica? Voglio far andare al cinema chi non capisce niente di musica classica e fargliela comprendere. Io invece volevo provare qualcosa di difficile per mettermi un po’ alla prova, per misurarmi.

È stato difficile?
È stato un salto nel vuoto che è durato tanto, ci ho messo un anno per scrivere la sceneggiatura, con un lavoro molto lungo dal punto di vista della documentazione e della ricerca, nell’acquisto di pagine di giornali in parte ripresi anche nel fumetto, nel recupero di biografie, in particolare quella di Michael Barrier pubblicata da Tunué, che si chiama Vita di Walt Disney, un grande lavoro di ispirazione l’ha fatta la graphic novel di Alessio De Santa, The Money Man, pubblicata sempre da Tunué. E anche disegnarla è stato complicato per come disegnare tutti gli strumenti tecnologici utilizzati per realizzare il film, a partire dal Fantasound.

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Con questo fumetto unisci due tue grandi passioni: Disney e la musica. Non è un racconto autobiografico ma forse qualcosa di Mario c’è.
Certamente c’è. Così come chi ha letto il mio romanzo su James Hook ha capito che era una sorta di falsa biografia. Non mi permetterei mai di dire che il Walt Disney che ho raccontato sono io, lo rispetto troppo, ma in alcune sue espressioni traspare la mia volontà di fare qualcosa. Molte reazioni di Walt Disney sono quasi più mie che sue. Con tutte le debite proporzioni, questo fumetto è il mio Fantasia. Lui ha cambiato la storia del cinema, io non voglio cambiare la storia del cinema, ma la mia storia professionale sì.

In tutto questo c’è anche un lavoro grafico importante.
Sì, è stata brava la disegnatrice Giorgia De Salvo a mantenere Walt Disney sempre coerente ed è stata brava la colorista Patrizia Cocco a dare dei toni che fossero sempre vivaci, mai cupi. Ci abbiamo lavorato tanto sui colori, abbiamo annullato le scale di grigio, abbiamo usato colori molto accesi e abbiamo giocato molto con l’acqua, che volevo fosse un po’ l’elemento portante insieme al fumo di sigaretta di Walt Disney.

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Per la meticolosità della ricerca verrebbe quasi da parlare di approccio documentaristico. Secondo te è più complesso l’approccio più creativo o quello più documentaristico?
Ho lavorato su entrambi. Per il romanzo su James Hook, la complessità è stata data anche dal fatto che dovevo partire da un personaggio già esistente di cui avevo tre coordinate fondamentali (e comunque ha un aspetto documentaristico e di ricerca anche quello). Per The Concert Feature l’approccio è stato documentaristico perché ho dovuto lavorare su un high concept, partendo da una storia già conosciuta era più semplice da vendere di uno slice of life. La mia prossima opera vorrei che fosse molto più privata. Non so dire quale dei due approcci sia più difficile, di certo con l’approccio documentaristico puoi incappare in problemi di incoerenza con la realtà.

Per il titolo hai scelto di recuperare il nome che Walt Disney aveva scelto per il film e che gli era stato cassato. È un po’ un omaggio a Walt Disney?
È stata una delle prime cose che ho scoperto di Fantasia. Glielo cassarono tutti perché non era un titolo vendibile, così lui lanciò un contest all’interno del suo studio e alla fine vinse Fantasia. Anche per me a livello commerciale era complicato chiamarlo solo The Concert Feature, quindi è diventato The Concert Feature. La fantasia di Walt Disney.

Nella storia appaiono una serie di personaggi al di là di Walt Disney, non è un One-Man-Show.

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Noi siamo abituati a pensare a Walt Disney come persona, ma uno studio d’animazione non può funzionare così. Nella tua graphic novel c’è chiaramente Leopold Stokowski e c’è anche un altro personaggio importantissimo, il fratello di Walt Disney.
Roy Disney è stato rivalutato da noi forse principalmente grazie alla graphic novel The Money Man. Lui era in effetti the money man della compagnia. Era malato, soffriva di problemi cardiaci, respirava con grande difficoltà, era stato messo in un istituto e Walt lo andò a recuperare il giorno che decise di recuperare la Disney Brothers. Roy ebbe un ruolo fondamentale, fu lui a terminare i lavori su Disneyland e Disney World dopo la morte di Walt. Era Walt che ritirava gli Oscar, ma non faceva tutto il lavoro da solo. Noi diciamo Il Pinocchio di Walt Disney, ma lui non è stato regista, animatore o disegnatore di Pinocchio. Aveva delle idee visionarie ma poi c’era un lavoro di concerto e lui si fidava delle persone che aveva accanto a sé. Ed è una cosa che Stokowski gli dice: si è fidato, deve continuare a fidarsi.

E poi c’era l’intuizione del genio.
Sì, riconosciuto da chiunque. In un saggio, Sergei Eisentsein racconta di quando andò negli Stati Uniti e vide Biancaneve al cinema, dicendo di aver visto una cosa che non pensava fosse possibile fare. Arturo Toscanini andò a vedere sette volte La Fanfara e ne rimase scioccato. Chi lavorava con lui sapeva di avere a che fare con una personalità dilagante e di doverlo accompagnare per permettergli di realizzare la sua visione. Lui era la conclusione di tutto, ma prima c’era un enorme studio che gli stava dietro. E molti dopo la sua morte hanno lasciato la compagnia.

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Mario Petillo e Giorgia De Salvo, The Concert Feature. La Fantasia di Walt Disney, Poliniani Editore, 15 euro

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