Il party di Elizabeth Day: come sopravvivere (con un giallo) a una cena iper-informale

Spettacolo

Filippo Maria Battaglia

Il Party di Elizabeth Day (particolare della copertina del libro edito da Neri Pozza)
Il_party_copertina

IL LIBRO DELLA SETTIMANA. Un romanzo edito da Neri Pozza si trasforma in una spietata analisi sul rancore e sull’ambizione dell’alta borghesia cittadina

Avete presente una di quelle cene annunciate come “super-informali” in cui di informale però non c’è nulla? Una di quelle in cui il dolce è un budino di uva spina e in cui le giacche degli ospiti hanno il taglio perfetto nel camoscio più sottile? Ecco, se avete presente quelle cene, avete ben presente anche il disagio silente che avete probabilmente provato.

Attorno a quelle cene, e soprattutto attorno quel disagio, ruota l’ultimo romanzo di Elizabeth Day, pubblicato da Neri Pozza (trad. S. Prina, pp. 350, euro 18). Si intitola “Il party”, che non è la cena di cui sopra, ma un party vero e proprio organizzato da Ben (e da sua moglie Serena), in occasione dei suoi 40 anni. Lui, il festeggiato, “scuola privata, Cambridge, dirigente di fondi speculativi”, è uno che – per intenderci – a un certo punto del romanzo comincia a ripetere “ci sei?” invece di “capisci?” solo perché, nonostante l’enorme ricchezza ereditata, di lui si possa sempre dire: “Oh, è uno di noi, uno che non si dà tante arie”.

Ben e Martin, “la piccola ombra”

Tutta un’altra storia rispetto a quella di Martin, l’altro protagonista del romanzo: figlio unico di madre vedova, cresciuto col rancore materno e con addosso i vestiti stinti e i maglioni slabbrati, prima di sbarcare in collegio grazie a una borsa di studio. Ed è lì, in collegio, che conosce Ben, a cui si lega talmente tanto da diventarne la sua “piccola ombra”. Poi, dopo essere diventato un discreto critico d’arte, incontra Lucy, sua moglie, “una non proprio”: colta e intelligente certo, ma troppo disillusa e insicura per essere disinvolta e brillante.

Una storia sul potere e sul rancore

Intorno a queste due coppie Elizabeth Day allestisce un romanzo che si trasforma presto in una satira implacabile sul potere. Day indaga nel rancore e nell’ambizione dell’alta borghesia cittadina con una prosa cinica e disincantata, avendo quasi sempre l’accortezza di evitare descrizioni caricaturali e ideologiche. Per farlo non sceglie la strada del romanzo sociale; piuttosto, batte quella del giallo psicologico e in questo si avvicina a un altro autore cult pubblicato da Neri Pozza, l’Herman Koch della "Cena". Come lui, sfugge  dai soliti cliché letterari, ma con una dose più garbata di cinismo e un finale malinconico all’altezza dell’intreccio narrativo.

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