Come l'economia italiana è stata stravolta dal Covid-19

Economia

Lorenzo Borga

HAIKOU, CHINA - APRIL 6:  (CHINA OUT)  Employees on the assembly line produce cars in Mazda's "Family" line of vehicles at China First Automobile Works (FAW) Group Haima Automobile Co., Ltd. April 6, 2005 in Haikou, Hainan Province, China. China has become the world's third largest automotive market with 2004 car sales in the country growing 15.17 percent to 2.33 million units, even though curbs on credit reduced demand. The market began slowing by mid-2004, affected by the government's measures to cool a fast-expanding economy. Analysts expect car sales in China to increase in 2005 by 10 percent.  (Photo by China Photos/Getty Images)

Il rapporto annuale dell'Istat fotografa un'economia italiana in difficoltà. Crollano occupati e produzione industriale, ma la crisi non colpirà tutti allo stesso modo. I dieci grafici più significativi del rapporto, per capire dove eravamo, dove siamo e - forse - dove saremo.

Gli occupati tornano ai livelli di fine 2016

Il numero di lavoratori si sono ridotti a maggio, rispetto a febbraio, di più di mezzo milione di persone. Un calo molto più rapido rispetto a quello della crisi del 2008. Nonostante la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti: perché molti contratti a tempo determinato sono scaduti senza essere rinnovati e i lavoratori autonomi sono stati particolarmente colpiti.

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Crollo della produzione di beni durevoli

Crolla anche il livello di produzione di beni di consumo durevoli, come elettrodomestici e automobili. Si tratta infatti dei prodotti più costosi e i primi acquisti che durante le crisi vengono rimandati a tempi migliori e meno incerti. Il calo ad aprile è stato dell'85 per cento rispetto al periodo pre-pandemia.

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La paura dei licenziamenti di massa

Ma la crisi non sembra ancora alle spalle, anzi. Per ora rimane in vigore il divieto di licenziamenti per le imprese, per via di un mercato del lavoro ancora in via di scongelamento. Ma quando, probabilmente dall'autunno, la norma verrà sospesa molti temono un boom di licenziamenti: secondo l'Istat quasi il 12 per cento delle imprese sarebbe orientata a ridurre sostanzialmente il numero dei propri dipendenti. Soprattutto tra le micro e le piccole imprese, che contano la maggior parte dei lavoratori.

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A corto di liquidità

La liquidità, i soldi in tasca, sono stati il primo grande problema che hanno dovuto affrontare le attività economiche fin dall'inizio del lockdown. Più della metà delle imprese infatti segnalano di essere preoccupate di non riuscire a fare fronte alle spese nel 2020, ancora una volta soprattutto tra le micro e le piccole imprese che in media rappresentano le realtà meno produttive.

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Non è un paese per giovani

Dal 2008, quando scoppiò la crisi finanziaria globale, il mercato del lavoro è cambiato molto. Per i più giovani le opportunità di lavoro si sono ridotte: dal 2008 gli occupati con meno di 24 anni si sono ridotti di quasi mezzo milione, quelli tra i 25 e i 34 anni addirittura di più di un milione e mezzo; e anche per chi non è più giovane (35-49 anni) non è andata meglio, con 1,4 milioni di posti di lavoro in meno. Solo gli ultra50enni sono in positivo, ma non abbastanza per compensare, con un incremento di più di 3 milioni di occupati. Un dato che è alimentato anche dall'invecchiamento della popolazione e dall'aumento dell'età pensionabile. Ma non solo.

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Quali imprese sono rimaste chiuse?

Il lockdown ha obbligato molte imprese a rimanere chiuse. L'Istat ha misurato le caratteristiche di queste aziende: si tratta di quasi la metà del fatturato totale prodotto dalle attività economiche, soprattutto nella manifattura e nelle costruzioni. Di queste la maggior parte si trovavano già all'inizio della pandemia in condizioni "fragili", cioè afflitte da problemi di liquidità, e una parte nella categoria "a rischio", cioè con difficoltà a creare ricavi e profitti.

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Divario digitale

Come è stato dimostrato a tutti dalla pandemia, le tecnologie e il digitale sono uno strumento fondamentale. E l'Italia, come già sapevamo, non è messa bene. Secondo Eurostat in Italia solo 7 cittadini su 10 sono utenti regolari della rete, rispetto alla Germania dove lo è l'85 per cento e la Francia il 77. E ben il 17 per cento in Italia non ha mai avuto accesso al web.

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Smartworking quadruplicato

In tempi normali, solo il 4 per cento dei lavoratori svolgeva attività da casa ogni mese. Con la pandemia però la situazione è cambiata: rispetto all'anno scorso i dipendenti e gli autonomi che hanno lavorato da casa sono quadruplicati, raggiungendo il 18 per cento del totale. Un'ulteriore dimostrazione dell'importanza della tecnologia.

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Scuola digitale senza pc

Anche la scuola ha dovuto adattarsi ai nuovi tempi. Gli insegnanti hanno condotto le lezioni da casa, attraverso piattaforme digitali. Ma non per tutti gli studenti è stato possibile seguirle: secondo l'Istat più di uno studente su dieci non aveva a disposizione un tablet o un pc per seguire le lezioni. Soprattutto tra chi vive in famiglie con minori titoli di studio e chi vive al Sud e nelle isole, dove addirittura chi non ha un device e ha genitori meno istruiti raggiunge il 34 per cento degli studenti.

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No contratto, no cassa integrazione

Il lavoro in nero è sempre stato considerato un problema per l'economia e la società italiana. Ma durante il lockdown si è trasformato in una vera e propria emergenza, perché chi non poteva mostrare un contratto non ha potuto accedere agli ammortizzatori sociali. Questo è accaduto, secondo le stime dell'Istat, a circa un lavoratori su dieci, soprattutto tra i più giovani e tra gli ultra-65enni.

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