Il Jobs Act: cosa prevede la riforma voluta dal governo Renzi

Economia
(Getty Images)
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Attuata tra il 2014 e il 2015 e parzialmente modificata dal decreto Dignità, la riforma ha introdotto alcune novità, tra cui il contratto a tutele crescenti e l’indennità “fissa” in caso di licenziamento. Proprio quest’ultima norma è stata bocciata dalla Consulta

Il termine Jobs Act è l'acronimo di Jumpstart Our Business Startups Act, utilizzato negli Usa nel 2012 per denominare un intervento legislativo a favore delle piccole imprese. Ma è anche il nome della riforma del diritto del lavoro voluta e attuata dal governo Renzi, attraverso diversi provvedimenti legislativi varati tra il 2014 e il 2015. La riforma ha introdotto novità come i contratti a tutele crescenti e l’abolizione di uno dei cardini dello Statuto dei lavoratori: l’articolo 18, quello che prevede il reintegro del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Il 26 settembre 2018, la Corte costituzionale ha bocciato la norma, contenuta nell’articolo 3, comma 1 del decreto legislativo 23/2015, che determina in modo rigido l'indennità che spetta al lavoratore licenziato in modo ingiustificato. Ecco quali sono i punti principali della riforma.

Contratto a tutele crescenti e indennità di licenziamento

La norma bocciata dalla Consulta è stata introdotta il 7 marzo 2015. Da quel momento, infatti, qualsiasi nuova assunzione con contratto a tempo indeterminato prevede che il reintegro nel posto di lavoro sia escluso nei casi di licenziamenti economici. In particolare, è stato ritenuto illegittimo l’indennizzo economico, che sostituisce il reintegro, "certo e crescente" con l'anzianità di servizio. Questo infatti corrisponde (in modo fisso) a un risarcimento di due mesi di stipendio per ogni anno di anzianità, entro un limite minimo di 4 mesi di stipendio e massimo di 24 mesi (limiti di mesi poi modificati dal decreto Dignità). Nella norma è invece rimasto il diritto al reintegro per i licenziamenti discriminatori e per le specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato.

Gli sgravi per le assunzioni

Insieme al contratto a tutele crescenti, il Jobs Act ha stabilito nuove norme pro-occupazione inserite nella legge di stabilità 2015. Tra queste, l'esonero dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per 8.060 euro e per un periodo di 36 mesi dall'assunzione. La decontribuzione è stata confermata dalle manovre economiche degli anni successivi, ma con dei limiti. Nel 2016, la durata del beneficio è scesa a 24 mesi e l'importo del bonus a 3.250 euro. Nel 2017 lo stesso importo è stato garantito per l'assunzione di giovani apprendisti e stagisti.

La disoccupazione

Da maggio 2015, la riforma ha introdotto la Naspi (nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego). In base a questa misura, chi perde il lavoro e ha almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi quattro anni, ha diritto a ricevere un sussidio (fino a 1.300 euro mensili). L'erogazione è condizionata dalla partecipazione del disoccupato a iniziative di attivazione lavorativa o di riqualificazione professionale. Per i collaboratori, invece, è stata introdotta la Dis-Coll che dura sei mesi e presuppone tre mesi di contribuzione. Quando la Naspi scade e chi ne beneficiava non ha ancora trovato impiego, ed è in una condizione "economica di bisogno", si è previsto per sei mesi l'Asdi, cioè l'assegno di disoccupazione.

Maternità più lunga

Con la riforma, il congedo parentale facoltativo parzialmente retribuito (al 30%) è passato da tre a sei anni del bambino, mentre quello non retribuito è salito da otto a 12 anni, e questo anche nei casi di adozioni e affidamenti. 

Le modifiche del decreto Dignità

Il decreto Dignità, approvato nel luglio 2018 dal governo Conte, ha parzialmente modificato le norme relative al mondo del lavoro. In particolare, il decreto prevede che il limite massimo di durata dei contratti si riduca da 36 a 24 mesi e ogni rinnovo a partire dal secondo avrà un costo contributivo crescente dello 0,5%. Ridotte da 5 a 4 le possibili proroghe. Per quanto riguarda invece l’indennità per i lavoratori licenziati per motivi economici (la norma del Jobs Act bocciata dalla Consulta) il decreto Dignità ha modificato solo una minima parte dell'articolo: è stato rialzato il limite minimo e massimo dei risarcimenti rispettivamente a 6 e a 36 mesi, lasciando inalterato il legame con l’anzianità (il punto contestato dalla Consulta è proprio che la previsione di un'indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio è contraria ai principi di ragionevolezza e uguaglianza sanciti dalla Costituzione). 

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