Inclusione finanziaria femminile: il mondo avanza, l’Italia arretra

Secondo l’ultima edizione del Global Findex della Banca mondiale, l’inclusione finanziaria femminile cresce rapidamente: nel 2024 il 76% delle donne al mondo aveva un conto corrente, un aumento di 30 punti percentuali rispetto al 2011. Lo stesso non accade in Italia: dopo aver toccato un picco del 97% nel 2021, nei tre anni successivi la percentuale è scesa al 79%. Più in generale, nel mondo oltre 700 milioni di donne non hanno un conto dove conservare e proteggere i loro risparmi: i conti digitali e i mobile money, già decisivi in Africa subsahariana, potrebbero essere lo strumento giusto per cambiare le cose. Sette donne su 10 hanno un conto corrente Dal 2011, il Global Findex misura come le persone accedono e utilizzano i servizi finanziari. Negli ultimi 13 anni, il numero delle donne che possiedono un conto corrente ha raggiunto il 76%: solo i Paesi dell’Asia orientale e del Pacifico superano la media mondiale, arrivando all’83,5%. In particolare, la percentuale di donne con un conto corrente anche nei Paesi a basso e medio reddito: nel 2024 è arrivata al 73%, sette punti percentuali in più rispetto al 2021. Se non visualizzi il grafico, clicca qui Nonostante questi progressi, 700 milioni di donne nel mondo rimangono completamente escluse dal sistema finanziario, impossibilitate a conservare denaro in sicurezza, ricevere pagamenti o far fronte a spese urgenti. La barriera più comune resta la mancanza di soldi necessari per aprire un conto. Seguono i costi dei servizi finanziari e la pratica, diffusa soprattutto in America latina e nei Caraibi, di utilizzare il conto di un familiare per evitare spese aggiuntive. A questo si somma il fattore delle distanza: in molte aree del mondo, le filiali delle banche restano ancora fuori portata. Se non visualizzi il grafico, clicca qui È qui che entra in gioco la tecnologia. Oltre la metà delle donne con un conto nei Paesi a basso e medio reddito accede ai propri risparmi dal telefono: i conti digitali, infatti, stanno diventando una porta d’accesso fondamentale, soprattutto nelle regioni dove le infrastrutture sono più fragili. In Africa subsahariana, ad esempio, i mobile money stanno aiutando le donne a ottenere maggiore libertà finanziaria. In quest’area, infatti, le donne hanno la stessa probabilità degli uomini di avere un account di mobile money, segno che la tecnologia può davvero ridurre il divario di genere nell’accesso agli strumenti bancari e finanziari. Anche il ruolo dei pagamenti digitali è cruciale: circa il 60% delle donne con un conto nei paesi in via di sviluppo lo ha aperto proprio per ricevere un pagamento da un datore di lavoro o dal governo. Ma possedere un conto non basta: molte donne continuano a non usarlo in tutte le sue funzioni. Rispetto agli uomini, hanno meno probabilità di risparmiare, di accedere al credito o di effettuare pagamenti digitali. E sebbene al mondo la percentuale di chi chiede un prestito per avviare un’attività sia simile tra uomini e donne, in entrambi i casi si tratta ancora di numeri molto bassi. E in Italia? Secondo il Global Findex, nel 2024 il 79,8% delle donne in Italia aveva un conto rispetto al 92,6% degli uomini. Un divario di 12,8 punti percentuali, quasi tre volte più ampio rispetto alla media dell’Europa e Asia Centrale e in aumento rispetto all’ultima rilevazione: solo tre anni prima, infatti, la percentuale di donne con un conto corrente raggiungeva il picco massimo dal 2011, toccando il 97%. Se non visualizzi il grafico, clicca qui Questo calo drastico può sembrare strano, “ma in realtà è in linea con la rilevazione sulle conoscenze l'alfabetizzazione economico-finanziaria che porta avanti Banca d'Italia ogni tre anni”, ha spiegato a SKYTG24 l’economista Azzurra Rinaldi. Nel 2023, infatti, secondo l’ultima edizione di questo studio, l’indicatore complessivo di alfabetizzazione finanziaria in Italia è risultato pari a 10,7 su una scala da 0 a 20. Esiste, però, un divario di genere: il punteggio delle donne, 10,5, è inferiore di 0,5 punti rispetto a quello degli uomini. Rinaldi associa la diminuzione della percentuale di intestatarie con un conto corrente in Italia anche all’aumento delle donne inattive, che secondo l’ultimo rapporto Cnel-Istat sono oltre i 7,8 milioni, pari al 63,5% del totale degli inattivi nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni. A queste si aggiungono le disoccupate, che in Italia sono poco meno di 1 milione, circa la metà del totale dei disoccupati. Come ricorda l’economista, nel Global Gender Gap Report 2025 del World Economic Forum, inoltre, nel 2025 l’Italia ha guadagnato due posizioni rispetto all’anno precedente, passando dall’87esimo all’85esimo posto su 148 Paesi analizzati. I progressi, però, sono disomogenei: migliorano nei punteggi legati a istruzione, salute e partecipazione politica, ma arretrano sul fronte dell’economia, dove si passa dalla 111esima alla 117esima posizione. È qui che si concentrano le maggiori criticità: il nostro Paese è 99esimo per partecipazione alla forza lavoro femminile, 114esimo per parità salariale, 104esimo per salario stimato, 94esimo per presenza di manager, legislatrici e funzionarie. “Le rilevazioni sul lavoro delle donne italiane e sulla loro possibilità di produrre reddito sono in netto peggioramento e quindi secondo me sono in linea con i dati” del Global Findex, ha assicurato Rinaldi. In ogni caso, questi dati nascondono un limite cruciale: non sappiamo quanti di questi conti siano realmente intestati alle donne. L’assenza di un conto corrente individuale è già indice di un livello altissimo di vulnerabilità rispetto alla violenza economica di genere, definita dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere come “qualsiasi atto o comportamento che provochi un danno economico a un individuo. La violenza economica può assumere la forma, ad esempio, di danni alla proprietà, limitazione dell'accesso alle risorse finanziarie, all'istruzione o al mercato del lavoro, o mancato rispetto di responsabilità economiche, come gli alimenti”. Come sottolineano gli autori e le autrici del report “Cioè che è tuo è mio” realizzato da WeWorld in collaborazione con Ipsos e Fondazione Cariplo, “questo tipo di violenza viene agito prevalentemente all’interno di relazioni intime e/o familiari ed è raro che comportamenti economicamente abusanti avvengano singolarmente: la violenza economica tende a essere parte di un più ampio ciclo di violenza intima e/o familiare ”. Nello stessa indagine si legge che una donna su due ha sperimentato almeno una volta nella vita una forma di controllo economico, una percentuale che sale al 67% tra le donne separate o divorziate, segno di un fenomeno che spesso non si esaurisce con la fine di una relazione. Secondo la Rete nazionale dei Centri anti violenza, la violenza economica di genere riguardava oltre il 35% delle più di 20mila donne che hanno chiesto aiuto nel 2023. Il numero 1522 conferma questa realtà: nello stesso anno, più della metà delle donne che hanno chiamato non lavoravano e circa il 60% non aveva autonomia economica.

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Roberta Cavaglià