Così Papa Francesco ha ripulito le finanze del Vaticano

“Gesù ha scacciato dal tempio i mercanti e ha insegnato che non si può servire Dio e la ricchezza”. Così parlava Papa Francesco nel 2020, di fronte ai commissari del comitato del Consiglio d’Europa che si trovavano a Roma per verificare le politiche di contrasto al riciclaggio di denaro adottate dallo Stato Pontificio. Solo uno dei vari progressi verso una maggiore trasparenza e il controllo dei conti promossi da Benedetto XVI prima e da Francesco poi. Gli strascichi di Vatileaks Il Conclave elesse Bergoglio nel 2013 anche per risollevare la fiducia nei confronti di una Chiesa colpita dagli scandali. Solo l’anno prima il Vaticano era stato travolto dal caso Vatileaks, che aveva svelato le irregolarità nella gestione finanziaria della Santa Sede. Le rivelazioni portarono il Vaticano a essere inserito nella lista dei Paesi monitorati per i rischi di riciclaggio di denaro da parte del Dipartimento di Stato americano. Francesco istituì una commissione di studio – la cosiddetta Cosea - per definire le riforme necessarie a rivoltare come un calzino le finanze vaticane. Un percorso a ostacoli, rallentato dai nuovi scandali che fecero nuovamente tremare la Curia, tra cui la diffusione di documenti riservati che portò all’arresto di due membri della stessa Cosea, Francesca Immacolata Chaouqui e monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda. Il lavoro con lo Ior Bergoglio non si fermò. Al centro delle opere di cambiamento era lo Ior, la “banca” vaticana che oggi gestisce quasi 5 miliardi e mezzo di euro depositati da congregazioni, associazioni di fedeli, monasteri, conventi, fondazioni ecclesiastiche e parrocchie. Nel 2015 lo affidò – nominandolo direttore generale - a Gian Franco Mammì, laico e profondo conoscitore dell’istituto dove lavora dal 1992, con il compito di risollevare l’Istituto per le Opere di Religione pesantemente commissariato da Papa Francesco dopo gli scandali. I precedenti amministratori, Paolo Cipriani e Massimo Tulli, sono stati nel 2022 condannati dalla Corte di appello vaticana a risarcire oltre 40 milioni di euro per la cattiva gestione. I passi in avanti sono stati visibili: lo Ior contribuì nel 2015 alla firma delle convenzioni tra Santa Sede e Italia e Stati Uniti per lo scambio di informazioni fiscali, che ha permesso al Vaticano di uscire dalla black list dei paradisi fiscali. Mentre nel 2019 fu ammesso al circuito europeo dei bonifici Sepa, a cui gli istituti bancari possono partecipare solo se garantiscono sufficienti presidi di trasparenza e affidabilità. Bergoglio decise la riforma anche degli organi di controllo. Per questo riformò l’Aif, poi diventato Asif al cui vertice pose l’ex responsabile della vigilanza della Banca d’Italia, Carmine Barbagallo. Il caso Becciu Dopo lo Ior, Papa Francesco si dedicò al patrimonio della Segreteria di Stato - il cuore pulsante della diplomazia e dell’amministrazione vaticana - colpita da nuovi e gravissimi scandali. Nel 2020 Bergoglio con un blitz esautorò il potente cardinale Angelo Becciu, da lui stesso nominato come vice del Segretario di Stato Pietro Parolin, a seguito di un investimento immobiliare da 240 milioni di euro a Londra per cui il prelato è stato successivamente condannato in primo grado a cinque anni e sei mesi dal tribunale vaticano con l’accusa di peculato e truffa aggravata. Il processo di appello si aprirà il prossimo 22 settembre. Lo scandalo fu tale che costrinse Bergoglio a rivoluzionare la gestione della cassa della Santa Sede. Il Papa trasferì l’intero patrimonio della Segreteria di Stato nell'Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, una sorta di Ministero dell’Economia del Vaticano, che nel 2020 pubblicò per la prima volta il proprio bilancio. Così tutte le risorse – tra cui anche lo sterminato patrimonio immobiliare che solo in Italia comprende oltre quattromila chiese, case e appartamenti – furono concentrate sotto la gestione di un unico soggetto. Un semplice affidatario dei beni dei quali – come specificò Papa Francesco – il Vaticano è unico detentore. Un lavoro ancora da completare Nel 2019 Bergoglio di fronte all’ennesimo scandalo si lasciò andare, affermando di aver “scoperchiato una pentola” di interessi opachi e vere e proprie truffe ai danni della Santa Sede. Il percorso di riforma è stato reso accidentato dagli scontri di potere della Curia e dalle indagini che hanno coinvolto anche prelati nominati dallo stesso Papa argentino. Nonostante i progressi, il recupero di fiducia nei fedeli non è ancora stato terminato: nel 2023 le offerte ricevute dai credenti di tutto il mondo per il cosiddetto “Obolo di San Pietro” hanno raggiunto i 48,4 milioni di euro. In leggero aumento rispetto al 2022, ma ben il 38 per cento in meno rispetto a dieci anni prima, quando Bergoglio fu eletto Papa. La sua opera di risanamento dovrà essere ora completata dal suo successore.

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