Accordo commerciale tra Ue e India, quali sono i rischi e le opportunità

La probabile guerra dei dazi con gli Stati Uniti e il rallentamento tendenziale della domanda interna della Cina ha indotto la Commissione Europea ad accelerare le discussioni su un accordo per ridurre le barriere al commercio tra l’Ue e il terzo gigante dell’economia mondiale, l’India, come evidenziato dal recente viaggio di Ursula von der Leyen a Nuova Dehli . Si tratta di un’importante opportunità, ma i rischi che a questa si accompagnano non sono irrilevanti. L’India è il più popoloso Paese al mondo, avendo da poco superato la Cina. Ha un’età mediana di poco superiore ai 28 anni, contro i 40 della Cina e i 44 e mezzo dell’UE. Il suo tasso di fecondità è ancora, seppur di poco, superiore a 2, contro 1 della Cina e 1,46 dell’UE e quindi ha prospettive demografiche ancora rosee, per questi tempi. A tassi di cambio a parità di potere d’acquisto , il Pil dell’India è il terzo più grande al mondo, dopo Cina e Stati Uniti. Anche se è ancora molto distanziata dai primi due colossi , sta crescendo più velocemente: tra il 7 el’8% nell’ultimo triennio, il tasso più altro di tutta l’Asia . È anche un Paese ancora piuttosto chiuso con dazi sulle importazioni di automobili del 60% e che frena, attraverso diverse pratiche, l’investimento diretto delle imprese estere. Il commercio tra UE e India è infatti al momento piuttosto modesto: nel 2023 abbiamo esportato beni e servizi per 71 miliardi di euro e importato per 94 miliardi . Le opportunità sono quindi enormi, ma ci sono rischi. Prima di iniziare una negoziazione sul commercio, così come per altre misure, la Commissione Europea conduce una valutazione d’impatto del possibile accordo . La conclusione della valutazione è che una forte riduzione dei dazi ora esistenti avrebbe un impatto positivo sul Pil dell’Unione, anche se piuttosto modesto nei primi anni . Le nostre esportazioni sono previste raddoppiare in quasi tutti i settori, mentre quelle indiane sono previste aumentare particolarmente per il tessile, la chimica, i prodotti agricoli e gli autoveicoli. Chi ci perderebbe nella Ue? La valutazione d’impatto individua come a rischio i produttori di tessili, indumenti, cuoio e certi prodotti agricoli . Gli effetti negativi sarebbero, quindi, relativamente limitati. Questo potrebbe stupire, visto l’impatto che in passato l’apertura al commercio estero, quello cinese in particolare, ha avuto sulle economie avanzate, in termini di posti di lavoro persi e di più limitata crescita salariale. Questo può essere spiegato col fatto che le importazioni dall’India, incluse quelle di imprese UE che vi si stabilirebbero, andrebbero a sostituire importazioni da altri Paesi emergenti: insomma la dose aggiuntiva di globalizzazione sarebbe meno impattante di quelle iniziali. Occorre anche considerare che la domanda interna da parte di famiglie e imprese indiane ha svolto anche negli ultimi anni un ruolo più rilevante rispetto a quello svolto in Cina: gli indiani non risparmiano tanto quanti i cinesi, per fortuna. Ciò detto i rischi esistono. La soluzione proposta dalla valutazione d’impatto per ridurre questi rischi sarebbe di prevedere per i settori più esposti un più graduale abbattimento dei dazi, il che ha senza dubbio senso. Tuttavia, mi chiedo se l’individuazione dei settori più esposti nella valutazione della Commissione non rifletta troppo l’attuale composizione delle nostre importazioni dall’India piuttosto che una valutazione prospettica in cui, anche grazie ai nostri investimenti diretti, la capacità di esportazione da parte dell’India aumenterebbe in diversi altri settori. Risulta allora essenziale un’altra raccomandazione presentata dalla valutazione d’impatto: come parte degli accordi, l’India “dovrebbe estendere le tutele legali [dei lavoratori], compresi i salari minimi e la copertura previdenziale per tutti i lavoratori, l'attuazione della legislazione nazionale e delle convenzioni ratificate dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro e rafforzare il sistema di ispezione del lavoro per garantirne un'applicazione efficace. Dovrebbe anche creare le condizioni per l'operatività dei sindacati. Molta attenzione dovrà essere prestata su questi punti, per evitare sorprese. Non sarà una negoziazione facile e l’obiettivo di concluderla entro fine 2025, come sembrerebbe sia intenzione della Presidente von der Leyen, sembra piuttosto ambizioso. Ma dati gli sviluppi geopolitici, con le due superpotenze del momento intenzionate a badare solo ai propri interessi di breve periodo, stringere un rapporto di cooperazione strategica con quella che in futuro sembra avere i mezzi per diventare la terza superpotenza non appare essere una cattiva idea.

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