
Secondo la Corte costituzionale non è irragionevole perché "salvaguarda integralmente le pensioni di più modesta entità"
La Corte Costituzionale ha stabilito che le misure di "raffreddamento" della rivalutazione automatica delle pensioni, introdotte dalla legge di Bilancio per il 2023, non violano i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza che tutelano i trattamenti pensionistici. Con questa decisione, i giudici hanno dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcune sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti. Secondo la Consulta il meccanismo legislativo "non è irragionevole perché salvaguarda integralmente le pensioni di più modesta entità".
Scelte del legislatore coerenti con finalità della politica economica
La Corte ha specificato che il meccanismo, per un periodo limitato, riduce progressivamente la percentuale di indicizzazione di tutte le altre al crescere degli importi dei trattamenti, in ragione della maggiore resistenza delle pensioni più elevate rispetto agli effetti dell'inflazione. Le scelte del legislatore - per i giudici costituzionali - risultano coerenti con le finalità di politica economica, chiaramente emergenti dai lavori preparatori e legittimamente perseguite, volte a contrastare anche gli effetti di una improvvisa spinta inflazionistica incidente soprattutto sulle classi sociali meno abbienti. Delle perdite subite dalle pensioni non integralmente rivalutate, del resto, il legislatore potrà tenere conto in caso di eventuali future manovre sull'indicizzazione dei medesimi trattamenti.
