Stop al gas russo attraverso l'Ucraina: chi vince e chi perde?

Era mezza secolo che il gas russo fluiva verso l’Europa centro-occidentale attraverso l’attuale Ucraina. Dalle 6 di mattina del primo gennaio 2025 il metano russo si è fermato, e il punto di scambio di Sudzha – al momento sotto controllo dell’esercito ucraino nella regione di Kursk – è rimasto senza gas. 15 miliardi di metri cubi di gas verranno meno in Europa quest’anno, circa il 5 per cento. Ma chi sono i vincitori e perdenti di questa svolta storica? Chi vince Volodymyr Zelensky – Il presidente ucraino ha respinto ogni offerta di Mosca per rinnovare il contratto di transito del gas russo attraverso la rete di gasdotti di Kiev. Nel 2019 l’accordo fu trovato in extremis nelle ultime ore; questa volta è andata diversamente. Secondo Zelensky il blocco rappresenta “una delle più grandi sconfitte di Putin”. L’Ucraina è riuscita a bloccare una delle poche fonti di finanziamento russe rimaste, che ancora permetteva l’ingresso nel Paese di valuta estera pregiata per sostenere il rublo e il finanziamento della macchina bellica del Cremlino. Una vittoria a basso prezzo per Kiev: l’unico Governo europeo che ha aspramente criticato la decisione è stato slovacco , dal momento che tutti gli altri hanno già diversificato le proprie fonti. Il gestore della rete ucraina dovrà inoltre fare a meno di circa un miliardo di dollari di commissioni di transito garantite finora dalla Russia. I governi Ue – Il blocco europeo ha diversificato le fonti di approvvigionamento del gas dal 2022. Da allora sono stati aperti nove nuovi rigassificatori – capaci di ricevere il gas liquefatto via nave – e altri sono stati ampliati. Per 26 Stati su 27 – Slovacchia esclusa – non dovrebbe cambiare quasi nulla. Alcuni casi rimarranno probabilmente nella storia: gli ex Stati del blocco sovietico fino all’invasione dell’Ucraina erano quasi totalmente dipendenti dalla Federazione Russa per l’energia. Parliamo di Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, Romania, che oggi non ricevono invece neanche una molecola da Mosca. Anche l’Austria ha interrotto i propri acquisti da Gazprom solo poche settimane fa. Discorso diverso per l’Ungheria, che non sarà impattata dalla decisione di Kiev nonostante la sua dipendenza dalla Russia – ha da poco rinnovato il contratto con Gazprom – grazie al gasdotto Turkstream che continuerà a funzionare, attraversando il Mar Nero. L’Italia stessa è riuscita in due anni a ridurre i propri acquisti da Mosca dal 38 per cento del 2021 al 9 del 2024. Gli Stati Uniti – Con la chiusura del gasdotto ucraino, i 15 miliardi di metri cubi di metano mancanti dovranno essere acquistati altrove. Secondo la Commissione Ue, le alternative andranno cercate nei terminali di rigassificazione di Italia, Grecia, Polonia e Germania, che non lavorano ancora a piena operatività. Qui le navi potranno arrivare per consegnare il gas, molto probabilmente in arrivo dagli Stati Uniti. Gli americani sono diventati il primo fornitore di gnl dell’Europa, grazie ai forti investimenti dell’ultimo decennio. D’altronde con il presidente Trump gli acquisti europei potranno accrescere ancora, in modo da ribilanciare il deficit commerciale Usa nei confronti dell’Ue ed evitare dunque l’applicazione dei nuovi dazi promessi dal magnate. I trader rialzisti – Il mancato rinnovo del contratto tra Ucraina e Russia era una notizia attesa. E così sui mercati energetici gli operatori si sono adoperati per farsi trovare pronti. Minori quantità a disposizione portano a prezzi maggiori, necessari per attrarre in Europa il gas mancante. Chi aveva scommesso nella risalita del prezzo ci aveva visto lungo: nell’ultimo anno il Ttf – l’indice di riferimento in Ue – si è apprezzato di oltre il 50 per cento, superando i 50 euro a megawattora. Per quanto resti decisamente distante dai picchi del 2022, quando si raggiunsero i 350 euro. Chi perde Gazprom – Il monopolista pubblico russo del gas perde, forse per sempre, il suo principale acquirente: l’Europa. L’azienda nel 2023 per la prima volta in 20 anni ha chiuso in perdita, e il blocco della via ucraina provocherà un ulteriore taglio ai ricavi di circa 6 miliardi di dollari all’anno. La Russia prima dell’invasione vendeva all’Europa più di 150 miliardi di metri cubi, nel 2025 probabilmente si fermerà a un decimo. E, a differenza dell’Ue, fatica a trovare alternativa per la vendita del suo metano. I gasdotti richiedono anni di progettazione e costruzione per entrare in funzione, i proclami di nuovi contratti con la Cina non stanno rispettando i tempi previsti e il gas liquefatto russo – venduto ancora in Europa - non riesce a compensare le perdite sulla rete fisica. La Slovacchia – Il premier Robert Fico è stato l’esponente di governo europeo che più ha criticato la scelta ucraina. La Slovacchia dipendeva infatti per oltre il 60 per cento dal gas russo che attraversava l’Ucraina. Come ritorsione ha minacciato di tagliare le forniture di elettricità a Kiev, più che mai necessarie per compensare i bombardamenti russi a centrali e rete di trasmissione. Ora la Slovacchia dovrà comprare il gas altrove, a prezzi più alti. I Transnistriani - In una condizione ancora più tragica si trovano i cittadini della Transnistria, la regione della Moldavia auto-proclamata indipendente dove vive una maggioranza filorussa. Fino al 2024 è stata completamente dipendente dal gas russo, tanto che quando questo ha smesso di fluire i termosifoni delle abitazioni hanno smesso di funzionare. Il solo metano a disposizione è quello rimasto nei tubi, per ora direzionato verso gli ospedali. L’unica centrale elettrica è stata convertita a carbone, la cui disponibilità tuttavia terminerà entro un paio di mesi. Questo si rivelerà un problema anche per la vicina Moldavia, che importa l’energia elettrica dalla Transnistria. Le bollette degli europei - Come detto, le quotazioni del gas naturale in Europa sono date in rialzo. Negli ultimi 12 mesi il rincaro è stato superiore al 50 per cento. Per il 2025 ad oggi i future, le scommesse degli investitori, danno un prezzo stabilizzato sui livelli attuali. Molto più cari rispetto a quanto pagano i consumatori e le aziende americane, per non parlare di quanto accade in Cina.

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