Assegno figli, governo cerca soluzioni per evitare rischio boomerang

Economia
Simone Spina

Simone Spina

Il contributo da quest’anno va messo nell’Isee e, aumentando la situazione economica delle famiglie, rischia di far perdere una serie di bonus, come quello per l’asilo e l’affitto. Palazzo Chigi a caccia di correttivi

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Correzioni in vista per l’Isee, la certificazione che si presenta per avere una serie di bonus. Si tratta della dichiarazione che attesta la condizione economica di una famiglia, quindi non solo lo stipendio ma anche i risparmi e le case di proprietà. Quest’anno in questa documentazione va inserito anche quanto ricevuto nel 2022 con l’assegno unico per i figli, col rischio di risultare più ricchi e perdere alcune agevolazioni, come il rimborso per l’asilo o l’affitto. 

Un paradosso che può costare caro

Un paradosso, perché è come dire che con una mano lo Stato dà e con l’altra toglie. Il governo se n’è accorto (l'opposizione ha presentato un'interrogazione parlamentare) e sta cercando una soluzione. Ma è presto per dire se il contributo per i figli, introdotto due anni fa al posto delle vecchie detrazioni e altri sostegni, non verrà calcolato.

Lo Stato ha speso 18 miliardi nel 2023

E’ una questione di soldi, perché non conteggiarlo potrebbe voler dire erogare più servizi assistenziali. L’anno scorso è costato quasi 18 miliardi alle casse pubbliche e da febbraio è stato alzato: un aumento del 5,4 per cento deciso per adeguarlo all’inflazione. Il minimo per ogni figlio passa così da 54 a 57 euro al mese, mentre il massimo sfiora i 200.

Oltre sei milioni di famiglie hanno preso l'assegno

Le variabili però sono tante e l’importo cresce non solo se il reddito è basso ma anche se il nucleo è numeroso, se la mamma a meno di 21 anni e se ci sono disabilità, tanto che nel 2023 le 6,5 milioni di famiglie beneficiarie hanno avuto in media 256 euro al mese.

Il faro accesso da Bruxelles (e Roma non risponde)

L’assegno, a cui hanno diritto anche le Partite Iva, sembra aver ridotto le disuguaglianze e premia soprattutto i più disagiati. L’Europa, però, un anno fa ha acceso un faro, contestando il requisito dei due anni di residenza e quello della convivenza coi figli. Roma non ha ancora risposto agli ultimi rilievi di Bruxelles di novembre, che potrebbe sottoporre la questione alla Corte di Giustizia comunitaria.

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