Ex Ilva verso il commissariamento: il timone allo Stato

Economia
Simone Spina

Simone Spina

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Futuro incerto per il gruppo siderurgico dopo la rottura della trattativa fra il governo e il socio privato Arcelor-Mittal. Fra le ipotesi sul tavolo, quella più probabile è il commissariamento. Si tratterebbe di un salvataggio pubblico, con conseguente nazionalizzazione, in attesa di trovare un nuovo partner privato

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“Sciogliendo questo matrimonio, mi auguro in maniera consensuale, le strade si dividono”. Adolfo Urso paragona la rottura fra governo e Arcelor-Mittal a un divorzio e il ministro delle Imprese è convinto che adesso “si riporterà un bene agli italiani: la principale industria siderurgica europea”, con – aggiunge – un nuovo partner privato e l’aiuto dello Stato. Insomma, per l’ex Ilva il governo s’impegna al salvataggio pubblico (l’ennesimo) e al rilancio. Un’operazione dai tempi incerti e, comunque, non certo semplice.

Matassa da sbrogliare

La vicenda si è ulteriormente ingarbugliata dopo che la multinazionale franco-indiana, che ha la maggioranza di Acciaierie d’Italia (l’erede dell’Ilva) ha rifiutato la proposta di Palazzo Chigi e cioè che la quota pubblica (detenuta tramite Invitalia) salga al 66 per cento con un’iniezione di 320 milioni sufficienti a pagare i creditori e a non chiudere i battenti dell’azienda che ha il suo fulcro a Taranto. Nel capoluogo pugliese il colosso estero non vuole investire neanche come socio di minoranza. E, stando così le cose, il primo passo, per quella che Urso definisce “nuova fase”, potrebbe essere il commissariamento.

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Quanti soldi servono

Lo Stato metterebbe in amministrazione straordinaria l’azienda, facendo leva sulla rilevanza strategica degli impianti, e in questo modo prenderebbe il timone. L’operazione richiederebbe oltre un miliardo solo per altoforni e stabilimenti, a cui aggiungere i denari per garantire il futuro: non solo il proseguimento della produzione (ora rasoterra) ma anche investimenti per assicurare la sicurezza dei lavoratori (secondo i sindacati precaria) e la tutela ambientale, con la riconversione della fabbrica. Con strascichi giudiziari all’orizzonte, perché Arcelor-Mittal rivendica di aver fatto negli anni scorsi la sua parte e potrebbe chiedere risarcimenti molto onerosi.

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Traballano 20mila posti di lavoro

Per evitare, comunque, il peggio e la perdita di 20mila posti di lavoro, tra impiegati dell’ex Ilva (circa 11mila) e indotto, la strada della nazionalizzazione è la più probabile. Un ritorno allo Stato (erano gli Anni ’60 quando a Taranto nacque l’Italsider) che dovrebbe essere temporaneo, in attesa di un nuovo socio privato che prenda le redini dell’acciaieria. Ma su nomi e tempi non c’è certezza.

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