I risultati dell'indagine dell'Osservatorio TEA sulla transizione verso l'elettrico evidenziano inoltre come l'83,2% delle imprese di automotive si aspetti riflessi nulli o positivi sull'occupazione e il 79,3% pensa lo stesso per gli effetti sul portafoglio prodotti
La filiera automotive italiana guarda con fiducia alla transizione verso la mobilità elettrica e si sta già attrezzando per cogliere le nuove opportunità e creare posti di lavoro, ma troppo spesso le aziende riscontrano ancora difficoltà a reperire le professionalità di cui avrebbero bisogno. È quanto emerge dall’analisi presentata oggi al ministero delle Imprese e del Made in Italy dall’Osservatorio TEA, l’osservatorio sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano guidato da CAMI (Center for Automotive & Mobility Innovation) del Dipartimento di Management - Università Ca' Foscari Venezia e CNR-IRCrES, nell’ambito dell’evento “Presente e futuro delle filiera automotive italiana”.
Lo studio
La nuova analisi, frutto dell’indagine condotta su un campione di 217 aziende rappresentativo delle 2.152 imprese mappate dall’Osservatorio TEA, indica che per la maggioranza delle aziende (il 48,4%) le trasformazioni dell’ecosistema automotive non avranno alcun effetto sul portafoglio prodotti e per il 30,9% avranno addirittura un impatto positivo, a fronte di un 20,7% che non esclude invece potenziali riflessi negativi. Netta prevalenza della fiducia anche guardando al sentiment sugli effetti strettamente occupazionali della transizione, con la maggioranza assoluta delle aziende (il 55,5%) che prevede un impatto nullo sul numero dei propri dipendenti e quasi un’impresa su 3 (il 27,7%) che si dice convinta di poter aumentare i livelli occupazionali, proprio in virtù della trasformazione in atto, che vede nell’elettrificazione del powertrain il suo elemento centrale. In questo caso, scende al 16,8% la quota del campione che teme eventuali riflessi negativi. Se l’incrocio di questi dati evidenzia come 8 aziende della filiera su 10 si muovano con confidenza verso la transizione, grazie alla clusterizzazione del campione è possibile andare ancora più in profondità e osservare che tendenzialmente le imprese più fiduciose sui riflessi sul proprio portafoglio prodotti sono quelle dei raggruppamenti “media” e “micro”, con l’83,6% e l’80% dei rispondenti che si aspetta un impatto della transizione positivo o nullo.
Preoccupazione
Il tema occupazionale si incrocia poi fatalmente con quello delle competenze, e qui le imprese suonano l’allarme. A fronte della diffusa intenzione di procedere con nuove assunzioni, infatti, a seconda dei ruoli dei dipendenti, una quota dal 40 al 50% del campione denuncia grandi difficoltà nel reperimento delle professionalità richieste. In questo senso, le maggiori preoccupazioni sono quelle segnalate dalle grandi imprese, quelle attive in Italia ma a controllo estero e quelle del Sud, per un problema che investe parimenti i ruoli operativi, quelli specialistici e gestionali, quelli tecnici specifici e quelli di gestione del cambiamento e innovazione.
Richieste
Accanto alla diffusa ricerca di nuove competenze da inserire in azienda, le stesse imprese della filiera manifestano una richiesta di supporto e guida da parte del Governo in questa trasformazione. Non sorprende quindi che in cima alle priorità di intervento segnalate alla politica ci siano la defiscalizzazione delle assunzioni di personale giovane (il 65,4% la ritiene importante o molto importante) ed esperto (64,4%).. Misure che sul fronte dei giovani potrebbero essere corroborate da una più stretta cooperazione tra le aziende, gli Istituti tecnici professionali e gli ITS, per avvicinare il mondo del lavoro alle scuole, ma anche per contribuire a definire percorsi formativi più coerenti con le nuove competenze ricercate dall’industria. E ancora, allargando il campo, il 58% delle imprese della filiera attribuisce grande importanza ai bonus per l’acquisizione di tecnologie e la riconversione produttiva e il 54,3% pone l’accento sulle agevolazioni per la formazione dei lavoratori.