Il Ministero dell'economia lancia l'allarme: la spesa pensionistica è prevista ancora in aumento nel 2023 per via dell'inflazione. Ma i partiti promettono di ridurre l'età pensionabile
L’anno prossimo la Legge Fornero permetterà di andare in pensione a 67 anni di età e 20 anni di contributi oppure dopo 42 anni e dieci mesi di contribuzione (un anno in meno per le donne). Il tema è delicato, visto che sui conti pubblici italiani pesa una delle più costose spese pensionistiche d’Europa insieme una deriva demografica che porterà al progressivo invecchiamento della popolazione. Non a caso, il dato che emerge dalle previsioni del ministero dell’Economia per il 2023 è inequivocabile: soprattutto a causa dell'inflazione, la spesa pensionistica aumenterà dello 0,7% del Pil, cioè 13 miliardi di euro.
Flessibilità in uscita
Quasi tutti i programmi elettorali dei principali partiti concordano su un punto: serve più flessibilità per chi va in pensione, alleggerendo le regole della Legge Fornero. Lo sostiene il Centrodestra, anche se non ha inserito nel suo programma comune una proposta definita: su questo punto la Lega spinge per la cosiddetta Quota 41, vale a dire la possibilità per chi ha pagato i contributi per almeno 41 anni di andare in pensione, a prescindere dell'età anagrafica. Una misura che sarebbe onerosa per le casse pubbliche: l’Inps ha calcolato che in poco meno di un decennio costerebbe circa 71 miliardi di euro. Nel centrosinistra il Pd prevede invece una maggiore flessibilità a partire dai 63 anni di età, da realizzare in coerenza con l’equilibrio dei conti previdenziali. Anche i Cinque Stelle vogliono evitare il ritorno alla legge Fornero attraverso meccanismi di uscita flessibile dal lavoro. Ma come i dem non specificano nel dettaglio le proposte.
Pre-pensionamenti per le donne
Altro punto di convergenza nei programmi è la volontà di prorogare Opzione donna, che permette con una penalizzazione di andare in pensione a meno di 60 anni per chi ha pagato i contributi per almeno 35 anni. C'è poi l’Ape sociale, un anticipo pensionistico a partire dai 63 anni per disoccupati, invalidi e chi lavora in settori usuranti. Due misure che negli anni scorsi sono costate circa mezzo miliardo all’anno.
La Lega vorrebbe inoltre che le lavoratrici potessero accedere alla pensione già a 63 anni, invece dei 67 attuali, con almeno 20 di contributi. Mentre il Movimento Cinque Stelle promette un assegno anticipato per le mamme lavoratrici, non specificando ulteriori dettagli.
Pensioni minime
C’è poi il capitolo pensioni minime, sociali e di invalidità, caro soprattutto al Centrodestra. Forza Italia ha proposto di aumentarle fino a mille euro, una misura che costerebbe secondo Lavoce.info fino a 33 miliardi ogni anno. Il Pd vorrebbe invece incrementare valore e platea della quattordicesima. Ai giovani dem, Movimento Cinque Stelle e Lega promettono future pensioni di garanzia, che richiederebbero una spesa pubblica importante ma distante nel tempo, e il partito di Conte vorrebbe anche il riscatto gratuito degli anni di studi universitari, che all’Inps costerebbe circa 4 miliardi all’anno.
La scelta del Terzo Polo
E il terzo polo di Renzi e Calenda? È l’unico tra i partiti più grandi a non prevedere misure nel proprio programma per l’accesso alla pensione, concentrandosi invece sulla qualità della vita degli anziani: dai centri sociali per la terza età alla prevenzione psicologica, fino alla riduzione del digital divide.