Modificare il Piano nazionale di ripresa e resilienza, come vuole fare il centrodestra, è possibile. Ma richiederebbe lunghe trattative con la Commissione e i governi degli altri Paesi europei
Con la campagna elettorale si infittiscono le voci politiche che vorrebbero mettere mano al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il cosiddetto Pnrr (LO SPECIALE DI SKY TG24). È in particolare il centrodestra a volersi muovere in questa direzione, come specificato nel programma elettorale. Ma non si tratterebbe di una scelta possibile dall'oggi al domani, tanto che nessun Paese europeo ne ha mai fatto richiesta.
Come funziona il Pnrr
Il Pnrr prevede infatti che gli stanziamenti siano condizionati al raggiungimento di ben 527 obiettivi precisi, verificati ogni tre mesi. Dall’approvazione delle riforme, all’aumento dell’energia rinnovabile fino al numero di chilometri di ferrovia costruiti. Solo se la Commissione europea valuta i risultati soddisfacenti approva il bonifico dei finanziamenti, come già accaduto per l’Italia per il secondo semestre dell’anno scorso, quando in cambio dei 51 obiettivi concordati nel piano il nostro paese ha ricevuto 21 miliardi di euro (per la seconda rata siamo invece ancora in attesa).
Ecco perché quello firmato tra i Paesi membri e le istituzioni europee assomiglia a un vero e proprio contratto che - come accade in questi casi - per essere modificato ha bisogno dell’accordo di entrambe le parti.
Come si modifica il recovery plan
Il regolamento europeo del 2021 che ha istituito gli aiuti prevede in effetti la possibilità di modificare il Pnrr: se infatti “il piano non può più essere realizzato a causa di circostanze oggettive, lo Stato membro può presentare alla Commissione una richiesta motivata” di modifica. Da allora entro due mesi, salvo proroghe, Bruxelles si esprime se dare il via libera o meno alla richiesta, che deve essere però basata sull'impossibilità di attuare il Pnrr e non su un cambio delle priorità. E solo allora il Consiglio europeo, in cui siedono tutti i capi di Stato o di governo dei 27 paesi membri, approva la domanda o la rigetta.
Aiuti pagati dal Nord Europa
E non è detto che i governi europei accetterebbero volentieri un cambio dei piani, soprattutto per quanto riguarda i paesi cosiddetti frugali – Paesi Bassi, Svezia e Austria per fare tre nomi – che già nel mezzo della pandemia erano stati inizialmente contrari al piano europeo, di cui l'Italia è il principale beneficiario.
Non si tratterebbe dunque di un processo semplice, né unilaterale. E la ragione è chiara: un terzo dei soldi europei, quelli a fondo perduto, provengono direttamente dalle tasche dei contribuenti tedeschi, olandesi e francesi, che si tasseranno per finanziare gli aiuti all’Italia. Se volessimo cambiare in corsa i patti che abbiamo sottoscritto, dovremmo prima di tutto convincere i loro governi.