La Banca Centrale Europea accompagnerà la fine del quantitative easing pandemico con un aumento di 40 miliardi di aiuti, per non danneggiare la crescita economica. L'inflazione rimarrà comunque elevata anche nel 2022
Il rimbalzo economico del 2021 ha contributo a recuperare almeno in parte il livello di benessere precedente alla pandemia. Ma si sta rivelando una lama a doppio taglio: a causa della decisa domanda globale e degli ingenti sussidi economici, i prezzi sono in forte crescita ormai da mesi. Ecco perché le banche centrali stanno ritirando i loro aiuti all’economia, per raffreddare l'inflazione: la Fed, negli Stati Uniti, è quella che ci crede di più e lo ha annunciato in modo deciso. Il governatore Jerome Powell ha affermato che l'economia americana, vicina alla piena occupazione, non ha più bisogno di aiuti che dunque termineranno entro marzo dell'anno prossimo.
La Banca centrale europea con la riunione di metà dicembre ha invece deciso di essere più cauta: il quantitative easing di ben 1850 miliardi di euro lanciato per la pandemia (Pepp) è destinato a finire a marzo 2022 ma sarà accompagnato da un incremento degli acquisti dei programmi di aiuti che continueranno. L'Asset Purchase Programm (App) verrà infatti arricchito l'anno prossimo prima di 40 miliardi al mese e poi di 30.
Il Pepp potrebbe comunque tornare in vigore nel caso la pandemia dovesse tornare a farsi sentire, ha precisato Christine Lagarde (governatrice della Bce). Inoltre i titoli acquistati negli ultimi due anni verranno reinvestiti almeno fino al 2024, per non creare problemi ai paesi debitori, Italia inclusa.
Rialzo dei tassi? Nel 2023, forse
Non si vedono in vista inoltre aumenti dei tassi di interesse, cioè del costo del denaro che influenza anche rendimenti, prestiti e mutui: con le ultime mosse dovrebbero arrivare non prima del 2023, lasciando respirare ancora l’economia. Una differenza notevole dalla Fed, che invece si muove per rialzarli già l'anno prossimo.
Si tratta di un fatto importante per il nostro paese, visto che quasi l’intero deficit pubblico (il 95 per cento) oggi viene acquistato proprio dalla Bce a bassi tassi di interesse. D’altra parte la Banca Centrale Europea deve far fronte alle differenze che esistono tra i diversi paesi dell’Eurozona: se in Italia il tasso di inflazione di novembre è stato al 3,7 per cento e in Francia al 2,8, in Germania – dove storicamente la crescita dei prezzi è più avversata – si è attestata addirittura al 5,2.
I prezzi in Eurozona sono previsti ancora in crescita nel 2022 al 3,2 per cento, mentre la Bce prevede che scendano sotto il 2 - obiettivo statutario - dal 2023.
Sulla differente strategia tra la banca centrale americana e quella europea a Sky TG24 Business si è espresso Tommaso Monacelli, economista dell'Università Bocconi. Guarda qui sotto il suo intervento.
C’è voluta una pandemia globale per risvegliare l’inflazione, che in Europa non vedevamo da tempo. Ma ora le banche centrali, chi prima e chi dopo, si muovono per calmare le acque. Con la speranza di non uccidere in culla la crescita economica.