Recovery Plan, l’impatto dei fondi Ue sull’occupazione

Economia

Giorgio Rizza

Sono forti le attese riposte nel Recovery Plan per una ripresa dell’occupazione, soprattutto alla luce del milione di posti persi durante la Pandemia e dei timori sulla situazione del lavoro quando finirà il blocco dei licenziamenti. Lo Skywall 

È difficile fare previsioni su cosa accadrà quando finirà il blocco dei licenziamenti, sappiamo bene invece quanto sia già costato al lavoro un anno di pandemia. Nonostante il divieto di licenziare e l’uso record della cassa integrazione, tra febbraio 2020, ultimo mese prima dell’emergenza virus, e febbraio 2021 si sono persi 945mila occupati. Un numero altissimo, che risente anche delle nuove regole europee di calcolo utilizzate dall'Istat con una maggiore emersione dei non occupati, rimanendo comunque sempre ad un livello drammatico. 

Ecco perché tutte le attese sono rivolte al Recovery Plan e ai suoi investimenti. Le stime del governo prevedono nell’ultimo triennio del piano tra il 2024 e il 2026 il 3,2% di occupati in più, il che vuol dire circa 750mila posti di lavoro aggiuntivi rispetto al 2020. 

 

Forse sono stime anche un po' prudenti, ma se così fosse questo incremento non riuscirebbe nemmeno a recuperare quei 945mila impieghi cancellati dalla pandemia.  

In più c’è il rischio che se ne potranno aggiungere molti altri dopo che il blocco ai licenziamenti verrà tolto. Le ultime stime di Unimpresa, parlano di una possibile perdita fino a 600mila posti, il che porterebbe il totale da inizio pandemia ad oltre 1 milione e mezzo. 

I consulenti del lavoro poi ricordano che ancora a metà aprile, ci sono 1,8 milioni di lavoratori fermi per la sospensione delle attività delle imprese o perché in cassa integrazione.  

Questa la situazione, ma tornando agli effetti del Recovery Plan sul lavoro, come sono messi gli altri Paesi nel resto d’Europa? Premessa importante: è molto complicato fare paragoni tra i piani presentati. Diverso l’ammontare dei fondi, diversa la destinazione degli investimenti e la loro distribuzione nel tempo.

Ha provato comunque a fare una comparazione Andrea Garnero, economista dell’Ocse, andando a vedere quanti posti di lavoro vengono creati ogni milione di euro stanziato.

L'Italia è ultima con 3,9 contro i 12 della Francia, gli 11,5 della Spagna e gli 8,2 della Germania. Anche la Grecia ci supera con i suoi 6,2. E questo nonostante il nostro Paese sia il primo beneficiario dei fondi europei e utilizzi al massimo sia i sussidi che i prestiti da rimborsare. 

 

Il contributo maggiore al lavoro è dato dalle prime due missioni del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, quelle che riguardano la transizione digitale e ecologica rispettivamente con un +0,9% e un +0,8%. C’è chi dice che questo apporto potrebbe essere ancora più incisivo.

Il problema è che molte delle nuove tecnologie protagoniste di queste trasformazioni non sono prodotte in Italia o lo sono in maniera ancora limitata, come le auto elettriche o le loro batterie, solo per fare un esempio.  Se quelle filiere non verranno sviluppate nel nostro Paese, come sottolineano i sindacati, difficilmente potranno beneficiare appieno degli investimenti del Recovery. 

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