Bitcoin, incognita tasse: in Italia nessuna norma fiscale specifica

Economia

Lorenzo Borga

In Italia, se non si detengono più di 51mila euro in Bitcoin, i guadagni non sono tassati. E manca una legge ad hoc.

Il 2020 è stato l’anno del Bitcoin, cresciuto di prezzo di quasi quattro volte. E la corsa non sembra fermarsi: dall’inizio dell’anno il valore è aumentato ancora, sostanzialmente raddoppiando.

Tasse 0 sotto i 51mila euro

Ma quante tasse si pagano sui guadagni dalle criptovaluta? Cioè, per esempio, quando decidiamo di vendere una frazione di Bitcoin per incassare euro, ottenendo un guadagno rispetto all'investimento iniziale. In Italia non è chiaro, perché è tra i pochi Paesi Ocse che non ha una regolamentazione fiscale specifica in merito, a differenza di Paesi come Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti. Ciò che sappiamo è che - per le persone fisiche - se si detengono Bitcoin per più di sette giorni e per un valore pari ad almeno 51.645,69 euro - corrispondenti a 100 milioni di vecchie lire a cui la legge fa ancora riferimento - allora si sarà tassati al 26 per cento sulle eventuali plusvalenze in caso di vendita. Ma sotto tale soglia la tassazione è zero, a prescindere dal proprio reddito: rimanere sotto non è difficile, basta vendere i propri Bitcoin quando ci si avvicina alla soglia. Un bel guadagno, visti i ricchi profitti che si possono portare a casa, a fronte dell’elevatissima volatilità e dei considerevoli rischi. In particolare a confronto delle alternative, come le azioni, i fondi comuni e le obbligazioni societarie, sui cui guadagni si paga fin da subito il 26 per cento. E anche a confronto di quanto succede in altri stati. Questo accade perché il fisco italiano applica alle criptovalute il trattamento riservato alle valute estere. È l'orientamento, a partire dal 2016, dell'Agenzia delle Entrate, in assenza di leggi specifiche.

Ma Bitcoin non è una moneta (secondo l'Ocse)

Con la contraddizione che in realtà, secondo l’Ocse, il Bitcoin difficilmente può rientrare nella categoria di moneta. Raramente viene infatti utilizzato come unità di conto, ha una diffusione come mezzo di pagamento ancora molto circoscritta e la sua funzione come riserva di valore è limitata dalla sua elevata volatilità. Per questo sono solo quattro i Paesi che trattano dal punto di vista fiscale le criptovalute come moneta tradizionale: il Belgio, la Polonia, la Costa d’Avorio e appunto l’Italia. Altri Paesi invece la trattano, per quanto riguarda le imposte, come un qualunque altro asset finanziario, mentre altri ancora hanno creato una definizione ad hoc. Altrove infatti è chiaramente normata, dal punto di vista fiscale, perfino l’attività di mining, cioè la generazione di nuovi Bitcoin grazie alla potenza di calcolo dei computer. E lo stesso discorso vale anche per la detenzione, ed eredità, di criptovalute in quanto forma di patrimonio. L'Italia invece, nonostante l'esplosione globale delle criptovalute, applica ai Bitcoin una normativa scritta prima della diffusione dell'euro. Ed è in compagnia di stati considerati paradisi fiscali come la Svizzera, Montecarlo, le Seychelles nella scelta di non far pagare alcuna tassa sui profitti da criptovaluta, almeno fino a 51mila euro.

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