I due colossi dello sportswear hanno ammesso di aver subito pesanti ripercussioni sulle loro vendite nel Paese asiatico. E da Toyota a Starbucks, si moltiplicano gli annunci di riduzioni dell'attività nell'economia di Pechino
Le multinazionali di abbigliamento e calzature sportive Adidas e Nike chiudono la maggior parte dei loro negozi in Cina a causa dell'aggravarsi dell'epidemia di coronavirus (TUTTE LE AZIENDE CHE SI STANNO FERMANDO - GLI ULTIMI AGGIORNAMENTI - LE COSE DA SAPERE - I SINTOMI).
L'impatto del coronavirus sul business
Entrambe le società hanno dichiarato che la situazione sta avendo un grosso impatto sui loro affari nel Paese asiatico. “I negozi che rimangono aperti stanno funzionando a orari ridotti” ha comunicato il gigante dello sportswear con sede nell’Oregon. “Il traffico al dettaglio è diminuito notevolmente a causa dello scoppio dell’epidemia in Cina”. “Restiamo concentrati sulla salute e la sicurezza dei nostri dipendenti", ha dichiarato John Donahoe, presidente e CEO di Nike Inc. Situazione analoga per Adidas, multinazionale con sede in Baviera.
La decisione di Toyota e Starbucks
Il coronavirus fa paura a molte società. Toyota ha interrotto la produzione in Cina fino al 9 febbraio, per i timori che l'infezione si diffonda ancora più rapidamente. "Considerati vari fattori, tra cui le linee guida dei governi locali e regionali e la situazione della fornitura di componenti, a partire dal 29 gennaio, abbiamo deciso di interrompere le operazioni nei nostri stabilimenti in Cina fino al 9 febbraio" ha annunciato il portavoce della casa automobilistica, Maki Niimi. "Monitoreremo la situazione e prenderemo eventuali ulteriori decisioni sulle operazioni il 10 febbraio". Starbucks (4.292 negozi in Cina) ha annunciato la chiusura temporanea di metà dei propri punti vendita nel Paese. Pochi giorni prima anche McDonald's aveva annunciato una decisione simile, bloccando i punti vendita a Wuhan, Ezhou, Huanggang, Qianjiang e Xiantao.
Le aziende hi-tech
La stessa Apple ha deciso di chiudere tutti gli uffici e i negozi sul suolo cinese almeno fino al 9 febbraio. Una scelta analoga era già stata presa qualche giorno fa da Google, valida anche per gli uffici di Taiwan e Hong Kong. Facebook e Amazon hanno chiesto ai propri dipendenti di cancellare le trasferte non indispensabili in Cina e, nel frattempo, hanno invitato i lavoratori a proseguire le proprie attività da casa. Un monito arrivato anche da Microsoft. Ancora diverso il caso di AirBnB che ha modificato le policy di cancellazione e di rimborso delle prenotazioni legate alle regioni interessate ai focolai di coronavirus.