L’interesse del colosso orientale ha messo d’accordo in maniera trasversale politica, imprenditoria e enti locali
Ci voleva l’incoscienza di Zeno. Titolava così, solo qualche giorno fa, il quoditiano triestino Il Piccolo, in un editoriale dedicato al porto e al presidente dell’autorità competente: Zeno D’Agostino, per l’appunto. E’ su questo porto che i cinesi hanno individuato un importante punto d’approdo della cosiddetta Nuova Via della Seta, ma l’accordo italiano cinese che verrà siglato in occasione della visita del Presidente Xi Jing Ping ha provocato anche qualche timore, tra chi, ad esempio, teme una svendita dello scalo di Trieste sul modello del Pireo greco.
“Sciocchezze”, risponde categorico D’Agostino, che spiega: “il porto è demanio pubblico e come tale non può essere svenduto. Dal 2015 sono qui a Trieste con il compito di difendere un pezzo di interesse nazionale, si figuri se svendo ai cinesi o a chiunque altro. Cinesi che, per altro, fanno già da tempo arrivare le loro merci in questo porto”.
Lo scalo di Trieste ha una storia pluricentenaria (il 18 marzo 2019 ha festeggiato i trecento anni) ed è l’unico porto franco d’Europa. “Da qui partono e arrivano 10mila treni l’anno che portano le merci in buona parte del Vecchio Continente”, ci ricorda l’amministratore unico di Adriafer Giuseppe Casini, “e il numero è destinato a crescere già nel 2019/2020”.
Un efficiente sistema integrato tra lo scalo e la rete ferroviaria (già esistente, ma resa più efficiente) rappresenta uno dei principali motivi che stanno alla base della crescita del porto negli ultimi anni. L’accordo con la Cina prevederebbe , tra l’altro, una collaborazione sullo sviluppo della rete ferroviaria, attraverso Adriafer, a sua volta controllata dall’Authority.
E allora come spiegare le resistenze che ci sono anche tra gli imprenditori di altre parti della Regione Friuli Venezia Giulia? “Sa, a volte si preferisce spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi reali che riguardano una certa zona alimentando paure dove non hanno ragione di esserci”, commenta il sindaco Roberto Di Piazza.
Paure e perplessità manifestate anche dagli americani. “A Washington sono rimasti segnati dal ‘caso Gibuti’ dove i cinesi da un approccio commerciale sono passati a creare la loro prima base militare fuori dal territorio nazionale. Questo rischio ovviamente qui non c’è”.
“La paura che davvero danneggia il nostro Paese è quella dei colleghi imprenditori, che, nonostante la nostra vocazione all’export, non capiscono che l’estremo oriente non significa solo merci in arrivo ma soprattutto merci italiane in partenza. Verso un mercato pressoché sconfinato”, l’osservazione dell’imprenditore Francesco Parisi, che ha deciso di concentrare i propri sforzi nel porto proprio sulla nuova piattaforma logistica che i cinesi hanno deciso di sfruttare.