Eurispes-Uil: "Oltre cento marchi italiani all'estero"
EconomiaStudio sul made in Italy: dal 2008 al 2012 registrati 437 passaggi di proprietà fuoi dai nostri confini. I gruppi stranieri hanno speso circa 55 miliardi per acquisire le nostre aziende. L'Istituto di ricerca: "Industrie d'eccellenza svendute"
Un database che raccoglie una selezione di 130 importanti marchi che soprattutto negli ultimi 20 anni per motivazioni differenti hanno registrato cambiamenti nella proprietà . La lettura dei dati raccolti nel database è affrontata prendendo in considerazione le quattro macro aree del Made in Italy: alimentare-bevande (43), automazione-meccanica (16), abbigliamento-moda (26) e arredo-casa (9); sono state registrate altre 36 aziende nella categoria 'altro', riguardanti i comparti della chimica, edilizia, telecomunicazioni, design, energia e gas.
Outlet Italia. Cronaca di un paese in (s)vendita | Eurispes UIL-PA http://t.co/Wu2DDAFZ6C
— Eurispes (@Eurispes) 11 Dicembre 2013
"Molte delle nostre migliori realtà imprenditoriali - spiega Gian Maria Fara, Presidente dell'Eurispes - sono state schiacciate dalla congiuntura economica negativa, unita all'iperburocratizzazione della macchina amministrativa, a una tassazione iniqua, alla mancanza di aiuti e di tutele e all'impossibilità di accesso al credito bancario. L'intreccio di tali fattori ha inciso sulla mortalità delle imprese creando una sorta di mercato 'malato' all'interno del quale la chiusura di realtà imprenditoriali importanti per tipologia di produzione e per know-how si è accompagnata spesso a una svendita (pre o post chiusura) necessaria di fronte all'impossibilità di proseguire l'attività ".
Fara #Eurispes siamo di fronte a fenomeno che merita massima attenzione, la svendita delle indutrie d'eccellenza italiana all'estero
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"All'interno di un sistema finanziario sempre più immateriale e senza patria - sottolinea Benedetto Attili, Segretario Generale Uil-Pa - diventa ancora più arduo ricostruire l'origine e i percorsi dei capitali impiegati così come dei vari interessi a essi riconducibili. E' certo però che questi interessi, il più delle volte, non corrispondano a vere vocazioni imprenditoriali, ma siano organizzati secondo la logica del massimo profitto".
La svendita della nostra rete produttiva, osserva, "ci impoverisce sia dal lato economico - poiché siamo costretti giocoforza a vendere a un prezzo inferiore rispetto a quello reale - sia per la perdita di asset immateriali, a volte di difficile quantificazione economica, perché vengono meno la tradizione, l'esperienza e la storia insita in ciascuna delle aziende di cui ci priviamo. In questo senso, va ricordato che la nostra imprenditoria e' fatta di imprese, costruite nel corso degli anni esaltando il concetto di qualita'".
Non solo. Sul fronte dell'occupazione, "quello che può accadere è purtroppo che, rilevata un'azienda che prima produceva in Italia, si trovi più conveniente delocalizzare la produzione in paesi con minor costo del lavoro, meno barriere burocratiche, ma anche normative assai diverse dalla nostra sia sul piano della sicurezza sul lavoro sia su quello della tutela della salute dei consumatori. Le conseguenze di ciò sono ben note: perdita di posti di lavoro, di personale specializzato e, inevitabilmente, abbandono degli standard di qualità del prodotto".
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