GdF da Facebook, il fisco europeo sulle multinazionali Usa
EconomiaNon solo l’Italia ha avviato indagini sulle presunte irregolarità tributarie delle filiali locali dei colossi del web. Francia, Germania e Gran Bretagna stanno facendo verifiche simili. E il problema è molto sentito anche in Australia
di Gabriele De Palma
Con la visita della Guardia di Finanza alla sede italiana di Facebook, si allargano le indagini sulle presunte irregolarità tributarie delle multinazionali Usa, per lo più hi-tech, presenti nei Paesi europei. Non solo Italia, ma anche Regno Unito, Francia e Germania stanno avviando indagini ed effettuando verifiche nei confronti delle filiali locali di Google, Amazon, Facebook. Obiettivo dichiarato è tassare i guadagni che queste società realizzano nei mercati nazionali e che sfuggirebbero alle imposte locali grazie a un intricato sistema di spostamenti. Anche in Australia il problema è sentito dalle autorità, che stanno per varare una legge in merito. E negli Stati Uniti il governo Obama già dal febbraio scorso cerca di sensibilizzare, finora senza successo, il Congresso sulle triangolazioni tra filiali estere che potrebbero sottrarre entrate al fisco Usa.
Triangolazioni e verifiche– Quello che ad alcune multinazionali viene "contestato" è l'apertura di proprie sedi in Paesi in cui la tassazione è molto bassa (come l'Irlanda, l'Olanda e le Isole Bermuda), con accredito a quelle nazioni dei profitti realizzati in mercati dove il cuneo fiscale è ben maggiore. In Italia, la polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano ha avviato nei giorni scorsi una verifica fiscale presso la sede di Google Italy da cui risulterebbero "elementi positivi di reddito non dichiarati per un importo di oltre 240 milioni di euro", nonché una Iva "relativa e dovuta per un importo pari ad oltre 96 milioni di euro". Ora su quanto raccolto dalla Finanza sta lavorando l'Agenzia delle Entrate e la vicenda ha già valicato i muri di Montecitorio, dove è diventata argomento di un'interrogazione parlamentare. Il Ministro dell’Economia Vittorio Grilli ha spiegato che si tratta di “un'azienda italiana, non può eludere il fisco”.
Un portavoce della sede italiana di Big G, dal canto suo, ha precisato: “Google rispetta le leggi fiscali in tutti i Paesi in cui opera e siamo fiduciosi di rispettare anche la legge italiana. Continueremo a collaborare con le autorità locali per rispondere alle loro domande relative a Google Italy e ai nostri servizi".
Regno Unito – A Londra il ministro del Tesoro George Osborne ha annunciato un finanziamento di 77 milioni di sterline (circa 100 milioni di euro) per dare la caccia all'evasione verso i mercati offshore di grandi capitali privati e delle multinazionali. Una commissione parlamentare ha definito le pratiche finanziarie messe in atto da Google, Starbucks e Amazon “elusione immorale di tasse”. Per Google, il Regno Unito è il secondo mercato nel mondo e solo nel 2011 il fatturato della filiale britannica ha raggiunto i 3 miliardi di euro a fronte di 4 milioni di tasse versate. Starbucks, scrive l'agenzia Reuters, in 13 anni di attività di sterline ne ha incassate l'equivalente di 4 miliardi di euro; tasse pagate: 11 milioni di euro. Amazon ha pagato 2milioni e mezzo di euro per introiti pari a 255milioni di euro.
Dai quartier generali delle tre aziende fanno sapere di aver sempre rispettato le leggi nazionali e internazionali e di voler collaborare con le verifiche fiscali, il governo di Cameron ha fatto sapere di volersi spendere anche nelle sedi internazionali (G7, G8 e G20 di cui deterrà la presidenza nel 2013) per affrontare il problema.
Francia e Germania – Il fisco francese ha già presentato il conto ad Amazon: 252 milioni di euro da pagare per il periodo 2006-2010. Nel 2011 il servizio di Jeff Bezos ha incassato 1 miliardo e 300 milioni di euro e ha pagato solo 110 milioni di euro. Evidentemente per il fisco francese in questo caso non tutto è stato fatto a norma di legge. E grossi sospetti sono stati avanzati dal ministro del Bilancio Jerome Cahuzac sui conti di Google: alla luce dei colloqui tra le autorità francesi e la filiale parigina del motore di ricerca il debito della grande G ammonta a circa 1 miliardo e 700 milioni di euro. Anche i francesi sono pronti a guidare la crociata contro l'elusione verso paradisi fiscali ai prossimi vertici internazionali (G7, G8 e G20). A loro e agli inglesi si affiancheranno, come dichiarato dal ministro delle Finanze Wolfgang Schauble, anche i tedeschi che al momento sono invece nel pieno dibattito su un altra Google Tax, che gli editori esigono per i link presenti su Google News.
Australia - Anche agli antipodi dell'Europa la caccia alle multinazionali è ufficialmente aperta. Il sottosegretario al Tesoro David Bradbury ha pesantemente accusato Google: nel 2011 la sede locale della grande G ha pagato 74mila dollari australiani in tasse (Google Australia contesta la cifra e dichiara di averne pagati più di 700mila dollari) a fronte di un fatturato di 201 milioni di dollari australiani. Secondo i calcoli fatti dagli analisti finanziari però nelle casse del gruppo sarebbero entrati circa un miliardo di dollari. Le accuse di Bradbury non preludono però ad azioni legali, lo stesso parlamentare ammette di non sapere se sono state violate delle leggi. Quel che è sicuro è che il governo prenderà provvedimenti per evitare che questo possa accadere in futuro: sono pronte revisioni alle leggi sui trasferimenti di denaro mirati ad attribuire a sedi australiane fatturati realizzati altrove o viceversa. Un altro Paese del G20. Iniziano ad essere tanti.
Con la visita della Guardia di Finanza alla sede italiana di Facebook, si allargano le indagini sulle presunte irregolarità tributarie delle multinazionali Usa, per lo più hi-tech, presenti nei Paesi europei. Non solo Italia, ma anche Regno Unito, Francia e Germania stanno avviando indagini ed effettuando verifiche nei confronti delle filiali locali di Google, Amazon, Facebook. Obiettivo dichiarato è tassare i guadagni che queste società realizzano nei mercati nazionali e che sfuggirebbero alle imposte locali grazie a un intricato sistema di spostamenti. Anche in Australia il problema è sentito dalle autorità, che stanno per varare una legge in merito. E negli Stati Uniti il governo Obama già dal febbraio scorso cerca di sensibilizzare, finora senza successo, il Congresso sulle triangolazioni tra filiali estere che potrebbero sottrarre entrate al fisco Usa.
Triangolazioni e verifiche– Quello che ad alcune multinazionali viene "contestato" è l'apertura di proprie sedi in Paesi in cui la tassazione è molto bassa (come l'Irlanda, l'Olanda e le Isole Bermuda), con accredito a quelle nazioni dei profitti realizzati in mercati dove il cuneo fiscale è ben maggiore. In Italia, la polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano ha avviato nei giorni scorsi una verifica fiscale presso la sede di Google Italy da cui risulterebbero "elementi positivi di reddito non dichiarati per un importo di oltre 240 milioni di euro", nonché una Iva "relativa e dovuta per un importo pari ad oltre 96 milioni di euro". Ora su quanto raccolto dalla Finanza sta lavorando l'Agenzia delle Entrate e la vicenda ha già valicato i muri di Montecitorio, dove è diventata argomento di un'interrogazione parlamentare. Il Ministro dell’Economia Vittorio Grilli ha spiegato che si tratta di “un'azienda italiana, non può eludere il fisco”.
Un portavoce della sede italiana di Big G, dal canto suo, ha precisato: “Google rispetta le leggi fiscali in tutti i Paesi in cui opera e siamo fiduciosi di rispettare anche la legge italiana. Continueremo a collaborare con le autorità locali per rispondere alle loro domande relative a Google Italy e ai nostri servizi".
Regno Unito – A Londra il ministro del Tesoro George Osborne ha annunciato un finanziamento di 77 milioni di sterline (circa 100 milioni di euro) per dare la caccia all'evasione verso i mercati offshore di grandi capitali privati e delle multinazionali. Una commissione parlamentare ha definito le pratiche finanziarie messe in atto da Google, Starbucks e Amazon “elusione immorale di tasse”. Per Google, il Regno Unito è il secondo mercato nel mondo e solo nel 2011 il fatturato della filiale britannica ha raggiunto i 3 miliardi di euro a fronte di 4 milioni di tasse versate. Starbucks, scrive l'agenzia Reuters, in 13 anni di attività di sterline ne ha incassate l'equivalente di 4 miliardi di euro; tasse pagate: 11 milioni di euro. Amazon ha pagato 2milioni e mezzo di euro per introiti pari a 255milioni di euro.
Dai quartier generali delle tre aziende fanno sapere di aver sempre rispettato le leggi nazionali e internazionali e di voler collaborare con le verifiche fiscali, il governo di Cameron ha fatto sapere di volersi spendere anche nelle sedi internazionali (G7, G8 e G20 di cui deterrà la presidenza nel 2013) per affrontare il problema.
Francia e Germania – Il fisco francese ha già presentato il conto ad Amazon: 252 milioni di euro da pagare per il periodo 2006-2010. Nel 2011 il servizio di Jeff Bezos ha incassato 1 miliardo e 300 milioni di euro e ha pagato solo 110 milioni di euro. Evidentemente per il fisco francese in questo caso non tutto è stato fatto a norma di legge. E grossi sospetti sono stati avanzati dal ministro del Bilancio Jerome Cahuzac sui conti di Google: alla luce dei colloqui tra le autorità francesi e la filiale parigina del motore di ricerca il debito della grande G ammonta a circa 1 miliardo e 700 milioni di euro. Anche i francesi sono pronti a guidare la crociata contro l'elusione verso paradisi fiscali ai prossimi vertici internazionali (G7, G8 e G20). A loro e agli inglesi si affiancheranno, come dichiarato dal ministro delle Finanze Wolfgang Schauble, anche i tedeschi che al momento sono invece nel pieno dibattito su un altra Google Tax, che gli editori esigono per i link presenti su Google News.
Australia - Anche agli antipodi dell'Europa la caccia alle multinazionali è ufficialmente aperta. Il sottosegretario al Tesoro David Bradbury ha pesantemente accusato Google: nel 2011 la sede locale della grande G ha pagato 74mila dollari australiani in tasse (Google Australia contesta la cifra e dichiara di averne pagati più di 700mila dollari) a fronte di un fatturato di 201 milioni di dollari australiani. Secondo i calcoli fatti dagli analisti finanziari però nelle casse del gruppo sarebbero entrati circa un miliardo di dollari. Le accuse di Bradbury non preludono però ad azioni legali, lo stesso parlamentare ammette di non sapere se sono state violate delle leggi. Quel che è sicuro è che il governo prenderà provvedimenti per evitare che questo possa accadere in futuro: sono pronte revisioni alle leggi sui trasferimenti di denaro mirati ad attribuire a sedi australiane fatturati realizzati altrove o viceversa. Un altro Paese del G20. Iniziano ad essere tanti.