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Covid: l’addio a Vincenzo Leone, “Il medico di tutti”

Cronaca

Giorgia De Benetti

Fondatore di radio Castelvetrano negli anni ’70, si era traferito a Bergamo con la moglie Valeria. Nella casa del figlio Giacomo i ricordi delle sue passioni: la batteria, le auto d’epoca e le barche. Prima di ammalarsi aveva iniziato a mangiare e dormire da solo in una stanza per paura di contagiare la famiglia, poi il ricovero e la terapia intensiva nel giro di una settimana. L’appello del figlio a chi non rispetta le regole: “Cambiate idea, se potete, senza che ci sia bisogno di perdere un genitore”

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La voce sprintosa in un’audio cassetta custodita dal figlio Giacomo, il dottor Vincenzo Leone fondò radio Castelvetrano negli anni ’70, quando viveva in Sicilia e studiava ancora. Era conosciuto come il medico di tutti a Bergamo, dove si era trasferito con la moglie Valeria, insegnante. Nella casa del figlio Giacomo i ricordi ovunque, legati alle passioni del dottore che curava chi glielo chiedeva: la batteria, le auto d’epoca e le barche, il legame forte con il padre COVID, OLTRE 100MILA VITTIME: LE STORIE - I DATI).

E ad aggiustare la sua barca fino in Toscana era stato pochi giorni prima di essere contagiato, nei giorni di marzo quando a Bergamo il virus era dappertutto. Aveva iniziato a mangiare da solo, a dormire solo in una stanza. Sempre di corsa, indaffarato, al telefono con i pazienti, tra ambulatorio e visite a domicilio temeva di contagiare i famigliari, specie dopo che nei primi mesi dell’anno si era confrontato con i colleghi su quella strana polmonite, mai vista prima, per cui nessuna cura funzionava. Giacomo gli aveva scritto: come ti senti? Un po’ rotto, la risposta, e il tono come sempre ironico. Il dottore si tiene dentro i suoi timori, per non preoccupare i familiari, è un cugino che dalla Sicilia lo sente tossire al telefono: “Ma non è che ti sei preso il Covid?” la risposta è rassegnata: “Che ci vuoi fare qui ce l’hanno tutti”. 

“Se fai il medico e lo fai in scienza e coscienza non puoi rifiutare una visita a qualcuno che sta male”, le parole della moglie, Valeria. Il virus lo aveva contagiato. È lei a convincerlo di mettersi a letto prima, ad andare in ospedale, poi. Vane le chiamate al 112 e al 118, ore di attesa e nessuna risposta. Ferma, coraggiosa, forte nell’emergenza, decide di accompagnarlo con la sua auto, nel sedile posteriore, proteggendosi come può, con guanti e mascherina. Dal ricovero, alla terapia intensiva, passa una sola settimana. Il dottore non ce la fa. 

Ora la loro casa è semi-vuota, è stata venduta. Troppo grande. “Ci siamo riorganizzati a livello famigliare, con il lavoro ho grossi problemi”, il figlio Giacomo lavorava all’aeroporto come agente di rampa ma con il Covid è fermo da un anno. Siede nello studio del padre, lo ricorda, nelle pareti i segni delle cornici, immagini, foto, passioni, staccate e messe negli scatoloni. Uno stetoscopio rosso. La borsa del dottore, un dolore profondo. Il vuoto della perdita, nel vuoto della stanza. La madre e moglie, con poche parole lentamente scandite parla di rabbia disegna un’ingiustizia: “13 mascherine e 1 camice monouso sono stati assegnati dall’Ats a mio marito”. Lei gli lavava i camici uno a uno nella lavatrice, li disinfettava. Inevitabile pensare che i medici siano stati abbandonati: “Parlano dei medici come di eroi ma non lo sono, sono solo stati mandati allo sbaraglio”. È stato il medico di tutti, fino a che ha potuto. Il dottor Leone amava le auto d’epoca, il figlio le guida. Il padre suonava la batteria, Giacomo anche. A chi si lamenta, a chi non rispetta le regole e gli altri, a chi nega il Covid un messaggio: “Cambiate idea, se potete, senza che ci sia bisogno di perdere un genitore”.