Violenza di genere, al liceo Carducci le storie di Annibali e Papi

Le voci si abbassano lentamente nella palestra del Liceo Classico “Giosuè Carducci” di Milano. È qui che si svolge “Parlami, dialoghi contro la violenza”, un incontro pensato per le classi quarte e quinte per riflettere e confrontarsi su uno dei temi più urgenti del nostro tempo: la violenza sulle donne, nelle sue forme più evidenti e in quelle più sottili. L’iniziativa è firmata Sky tg24 che, in occasione del 25 novembre, ha scelto di far confrontare gli studenti con due voci simboliche, l’avvocata Lucia Annibali e il giornalista Giacomo Papi. Due storie diverse, lontanissime tra loro, ma legate dal filo comune dell’esperienza della violenza di genere e la volontà di trasformarla in consapevolezza. La storia di Lucia Annibali: “Su quel pianerottolo sono rinata” Quando Annibali prende la parola, gli studenti, ancora distratti dalle novità della mattinata, vengono rapiti dal coraggio della donna. Racconta quel giorno di dodici anni fa come se fosse ancora lì, su quel pianerottolo del suo appartamento a Pesaro. “Aprii la porta – ricorda - e trovai un uomo con in mano un barattolo. Mi sembrò di essere intrappolata in una favola e di trovarmi a tu per tu con l’Uomo nero. Quando venni colpita dall’acido sentii come se il mio volto sparisse. I miei lineamenti si cancellarono e fu come perdere un pezzo di me”. Da quella notte inizia il suo lungo percorso al Centro Grandi Ustionati di Parma. Anni di interventi e sofferenza, ma anche l’occasione per intraprendere un viaggio dentro se stessa. “Quando mi sono alzata da quel letto d’ospedale – continua - ero una donna nuova, segnata ma consapevole. Sapevo chi ero e come volevo vivere. La violenza può distruggere, ma noi possiamo essere più forti di chi ci fa del male". La storia di Giacomo Papi: “I maschi non si parlano. E da lì nasce tutto” La voce di Giacomo Papi arriva da un altro luogo della violenza. Quella domestica e quotidiana, vista dagli occhi di un bambino ed elaborata da adulto. Racconta di suo padre che, dopo la separazione dalla madre, diventò ciò che oggi chiameremmo uno stalker. "Allora la parola non c’era – ricorda - ma c’erano le telefonate notturne e le minacce. Non voglio ridurre mio padre all’immagine dell’uomo violento, perché mio padre era anche tante cose belle. È come se, dopo la fine della relazione con mia madre, non sia più riuscito a ricostruirsi e a immaginarsi come una persona completa. Questo succede anche a molti uomini oggi, perché i maschi non riescono a coltivare la giusta intelligenza emotiva". Il suo racconto si concentra, infatti, su un punto spesso dimenticato: la fragilità maschile. "È da quando esiste l’homo sapiens che gli uomini non parlano tra loro delle proprie paure e non si dicono che stanno male. Mia figlia mi racconta sempre che quando una ragazza viene lasciata dal fidanzato, spesso ha una rete di amiche che la sostengono. Gli uomini no, perché non esprimono i loro sentimenti". Per Papi, questa incapacità è una delle radici profonde della violenza: "Quando non parli, la rabbia si incrosta. E può esplodere". Il giornalista parla anche di sé e di come la violenza del padre gli abbia lasciato cicatrici invisibili. "Solo dopo i cinquant’anni ho iniziato davvero a fidarmi delle altre persone. Ma ho usato quel dolore per crescere. E per parlarne oggi, qui". Le domande dei ragazzi: potere personale, modelli maschili e amori tossici Le mani si alzano subito. La prima domanda arriva da Ilaria, che chiede come si possa ricostruire il proprio potere personale dopo aver subito violenza. Annibali risponde che il punto di partenza è la libertà: “La violenza toglie la libertà. Quando ne esci, riconquistare quella libertà è il modo per ritrovare te stessa. La violenza non è un destino, non dipende da chi la subisce, ma parla e dice molto di chi la pratica. Per questo motivo, quando perdi la libertà tramite la violenza, riottenerla ti rende ancora più forte”. Papi riprende il tema da un’altra angolatura: “La violenza tenta di modellare l’altro. Per riconquistare il proprio potere personale, è necessario intervenire là dove siamo stati incrinati e ricostruirsi. Perché riconoscere i propri impulsi, anche quelli più bui, è fondamentale per disinnescarli prima che esplodano”. Poi parla Riccardo, un ragazzo sensibile che ammette di sentirsi più libero a confidarsi con le ragazze che con gli amici maschi. Chiede a Papi se la violenza del padre gli abbia influenzato i rapporti con uomini e donne. “Non lo so - risponde lui - so che ho sempre cercato più empatia nelle donne, forse perché lì la trovavo. Ma so anche che in me riconosco, a volte, impulsi che non vorrei avere. Sapere da dove vengono aiuta a non esserne dominati". Un’altra domanda tocca il tema degli amori tossici: come riconoscerli? Annibali è netta: “Molte attenzioni che sembrano amore, come il voler stare sempre insieme, il non lasciarti uscire da sola “perché non si fida degli altri”, sono in realtà forme di controllo. Un amore sano non giudica, non limita, non ti fa sentire sbagliata». Infine, la riflessione di una ragazza sedicenne colpisce la sala. Racconta un episodio di molestie in strada e la sensazione che se quell’uomo avesse voluto farle veramente del male, lei non avrebbe potuto far niente per impedirlo. Annibali le parla con fermezza: “Non è colpa tua. Non è mai colpa di chi subisce. Dobbiamo smettere di dire che una donna se l’è cercata, è irrispettoso e violento. Noi non dovremmo avere paura per strada. E questa dovrebbe essere una battaglia comune”.

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Benedetta Macchini