Quando Mussolini non era il Duce: i falsi miti sul futuro dittatore

Cronaca

Filippo Maria Battaglia

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IL LIBRO DELLA SETTIMANA  Lo storico Gentile indaga sul primo Mussolini: fu in grado di intuire le tendenze del proprio tempo ma all’inizio non ruscì a scegliere le vie da seguire per realizzare le sue ambizioni. E dovette rinnegarsi pur di conquistare il potere

7 luglio 1912. A Reggio Emilia inizia il XIII congresso nazionale del Partito socialista italiano. Benito Mussolini sta per compiere 29 anni: vi partecipa come rappresentante della frazione rivoluzionaria di Forlì. Quando sale sul palco, non ha ancora deciso se la politica sarà anche in futuro la sua attività. E' un uomo ancora giovane, “magro, aspro, che parla a scatti” (la descrizione è del “Corriere della Sera”). Il suo discorso è un attacco all’establishment riformista che guida il Psi, ai deputati della destra del partito, ai dirigenti più anziani come Filippo Turati e Costantino Lazzari.

E' un successo insperato, che sembra preludere all’avvio di una fulminante carriera nelle file socialiste. Mussolini si trasforma in “un uomo di grande avvenire”, “il dominatore futuro del partito”, “un temperamento” che “non conosce deviazioni”. E in effetti, nei mesi successivi all’exploit emiliano, le vele del giovane socialista sembrano spiegate. Viene eletto membro della nuova direzione nazionale, diventa direttore del giornale di partito (“L’Avanti”) a capo del quale viene confermato anche al congresso del 1914, grazie al raddoppio delle copie vendute.

Cinque anni decisivi

A quegli anni è dedicato il saggio di Emilio Gentile da poco pubblicato da Garzanti e significativamente intitolato “Quando Mussolini non era il Duce” (pp. 390 euro 20). Gentile – ad oggi il più autorevole storico del fascismo – decide di soffermarsi sull’attività politica del futuro Duce dal 1902 al 1919. Il cuore del libro sono però i cinque anni (1914-1919) che trasformano il socialista marxista rivoluzionario e internazionalista nel promotore di un movimento nazionalista antisocialista (il fascismo, appunto). Un quinquennio al centro di numerosi saggi e monografie, a cominciare dal “Mussolini rivoluzionario” di Renzo De Felice, di cui Gentile è stato allievo. E proprio quegli anni, che si aprono con la decisione da parte del futuro dittatore di schierarsi a favore dell'intervento nella Grande Guerra, sono stati visti dagli storici in modo diametralmente opposto: da alcuni sono stati letti come l’incubazione di una visione imperialista, razzista e totalitaria; da altri sono stati analizzati come la conferma di un’identità rivoluzionaria, al tempo stesso antisocialista e anticapitalista.

I falsi miti su Mussolini

Gentile si dice contrario ad entrambe le interpretazioni. E spiega come nel “1919 Mussolini non era già il duce assoluto di un fascismo totalitario. Ma non era neppure un rivoluzionario anticapitalista e decisamente antimonarchico”. Se si esclude infatti l’esaltazione della guerra e della italianità di Fiume e della Dalmazia, il programma di riforme del futuro dittatore non era poi così distante dal riformismo radicale socialista.

Non solo. Il libro di Gentile sfata anche un altro luogo comune: quello di un Mussolini da subito in grado di fiutare il senso comune dell’opinione pubblica mettendosi in scia con gli umori dell’elettorato. È vero, ricorda lo storico, Mussolini intuì con più velocità di altri osservatori le tendenze del proprio tempo, e soprattutto riuscì a prevedere con grande efficacia le debolezze dei suoi avversari. Nel 1919, però, “non fu altrettanto acuto nella scelta delle vie da seguire per realizzare le sue idee e le sue ambizioni”. Insomma, “se fu un opportunista, fu un pessimo opportunista, perché pochi aderirono alle sue idee e assecondarono le sue ambizioni”. Non è un caso che, alla fine di quell’anno, l’esperienza politica del fondatore del fascismo sembrava al finecorsa: “Nel 1919 Mussolini non fu ufficialmente il capo del fascismo, e ancor meno fu venerato dalle poche centinaia di fascisti esistenti nel 1919 come un duce carismatico dal potere indiscusso”. Un presupposto che porta lo storico ad osservare come le vicende che avrebbero portato, di lì a tre anni, alla conquista del potere “non erano contenute, neppure in embrione” nella storia personale di quegli anni. Semplicemente, nel 1919, Mussolini era – come lui stesso si definiva – “un avventuriero di tutte le strade”, pronto a rinnegarsi pur di conquistare il potere. E se è vero – come ricorda Gentile – che la natura non fa salti, “la storia, opera dell’uomo, talvolta compie salti catastrofici improvvisi e imprevedibili”.

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