Di cosa parliamo quando parliamo di femminicidio

Cronaca

Giuliana De Vivo

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è l'occasione per porsi una domanda sul senso di questa parola. E per fare il punto sulle sue conseguenze, a partire da un aspetto di cui finora si è parlato meno: i bambini orfani di femminicidio

C'è sempre qualcuno pronto a giudicare il modo in cui una donna si veste, il modo in cui si relaziona agli altri, con chi vuole passare del tempo e con chi no, con chi vuole vivere e con chi no, chi vuole amare. Se vuole fare carriera oppure no, se vuole dei figli oppure no, se qualcosa la fa ridere oppure no. Giudicare è facile, accettare che una donna faccia scelte diverse da quelle che qualcun altro vorrebbe, purtroppo lo è molto meno. Ci sono donne che queste scelte - semplici, in teoria normali in un paese libero - le pagano con la vita. Donne uccise da uomini che non accettano il loro modo di essere donne. Sta qui la radice dei femminicidi, non semplicemente l'omicidio di una persona di sesso femminile, ma il frutto deteriore di una cultura sbagliata che, anno dopo anno, presenta il conto di numeri che oscillano di poco, e di cui tendenzialmente ci si ricorda in occasioni come il 25 Novembre o l'8 Marzo. 

Quasi tutte  sono uccise da mariti, ex mariti, compagni o ex compagni. Un elemento che è il sintomo di un modo non sano di concepire il rapporto tra un uomo e una donna.

 

Orfani di femminicidio

 

Poi, c’è il problema dei figli, di quelli che restano. Stimati (perchè un censimento esaustivo è a oggi fisiologicamente impossibile per via della spesso lacunosa comunicazione tra forze dell'ordine, tribunali e procure dei minori, servizi sociali e associazioni) in circa 2mila. Tra questi, 415 sono i minori fino a 17 anni di età. Sono bambini che si trovano senza madre, senza padre - che non di rado è anche la persona che ha tolto loro la madre - , spesso senza altre figure familiari di riferimento, oltre che con difficoltà economiche. Quasi sempre per loro, insieme al dolore della perdita e al trauma delle violenze di cui sono stati testimoni impotenti, si apre una strada tortuosa costellata di burocrazia, case famiglia, affidamenti in prova, tentativi più o meno felici di ricostruirsi qualcosa che somigli a una famiglia, qualcosa che somigli a una vita normale.

 

Nel 2022 è infatti nato il progetto "A braccia Aperte", finanziato dal Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Grazie al quale oggi già una 60ina  di minori può contare per la prima volta su un aiuto concreto. La maggior dei primi beficiari si trova al sud. Ma in totale i minori individuati dal progetto sono 167 al Nord, 104 al centro e 145 al sud. Loro sono i fortunati tra gli sfortunati, perchè le loro storie sono venute a galla e hanno permesso alle associazioni coinvolte nel progetto di trovarli. Poi, ci sono quelli che non conosciamo. E di certo è un numero che non decresce se non lo fa quello dei femminicidi.

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