Garlasco, 18 anni fa l'omicidio di Chiara Poggi: indagini e piste. Il cugino: basta gossip

“La verità è che purtroppo Chiara è stata vittima 18 anni fa e lo è ancora oggi”. Ieri vittima del suo assassino, oggi di chi specula sulla sua storia. “Sento tante chiacchiere, molte senza costrutto. Commenti di persone che non conoscono nulla di questo caso, ma si sentono in diritto di dire ciò che vogliono, persino di giudicare noi e Chiara trasformandola quasi in colpevole”. Parla con amarezza Paolo Reale a 18 anni esatti da quel 13 agosto 2007, quando la sua vita e quella della sua famiglia cambiò per sempre. Di Chiara Poggi, Paolo non è solo il cugino, nella vicenda che dopo cinque gradi di giudizio portò nel 2015 alla condanna definitiva a 16 anni di carcere per Alberto Stasi, Paolo mise a disposizione dei suoi zii, costituitisi parti civili contro l’allora fidanzato della figlia, le sue competenze informatiche e divenne consulente di parte. Nel giorno del diciottesimo anniversario della sua morte, oggi Paolo parla della cugina scomparsa con l’emozione di chi quella bambina dai grandi occhi blu l’ha vista crescere e allo stesso tempo con la lucidità di chi conosce ogni atto dell’iter processuale che portò alla condanna di Stasi. Chiara, una farfalla “Chiara era una ragazza molto determinata, solare, attaccata alla vita. Io la vedevo sempre proiettata in avanti, aveva costruito un suo percorso prima scolastico, poi professionale dopo la laurea in economia, in cui si stava spendendo con grande sacrificio – racconta Paolo. Andava tutti i giorni a Milano perché stava facendo uno stage, e tornava la sera. Aveva una vita orientata a costruirsi, non aveva molto tempo da dedicare alle altre cose, tanto che anche con Alberto si vedevano solo durante i fine settimana”. Nell’agosto del 2007 Chiara era rimasta da sola nella villetta di via Pascoli, costruita con sacrificio e dedizione dal papà Giuseppe, a Garlasco. I suoi genitori con il fratello Marco, che aveva 19 anni, erano partiti per la solita vacanza in montagna, in Trentino, e lei era rimasta a casa anche per aiutare il fidanzato che frequentava la Bocconi, a concludere la tesi. “In questo percorso che Chiara stava costruendo per il suo futuro e su cui era molto concentrata, forse anche a costo di perdere altre cose che non le interessavano – ricorda Paolo - c’era anche il suo fidanzato con cui immaginava il suo futuro. Tutto questo è stato distrutto per sempre purtroppo. Oggi quando penso a lei mi tornano in mente le farfalle che molte persone che sono state sulla sua tomba, a Pieve Albignola, hanno lasciato. Lei non c’è più, ma mi piace pensarla come una farfalla oggi, come il simbolo di qualcosa che cambia, che si muove, si tramuta”. La voce di Paolo si spezza mentre parla, l’emozione coglie alla sprovvista anche chi come lui è abituato a parlare in pubblico e anche davanti alle telecamere. La nuova tempesta L’attenzione mediatica sul delitto di Garlasco è sempre stata alta, Chiara Poggi era la ragazza della porta accanto, quella con la testa sulle spalle in cui qualunque giovane della sua età poteva identificarsi. “Questa volta però c’è qualcosa di diverso – riflette Paolo e la voce torna subito ferma. Da quando è stata aperta la nuova inchiesta sull’omicidio di mia cugina io provo una grande sofferenza che in giornate come questa diventa ancora più evidente. Oggi è il giorno in cui dovremmo dire una preghiera per lei, rivolgerle un pensiero e invece quello che vedo mi fa male. Intorno alla sua vicenda sono state montate una montagna di fake news, c’è una quantità di persone che si sentono in diritto di giudicare Chiara senza nemmeno averla conosciuta. Sembra si siano ribaltati in qualche modo i ruoli, lei e la famiglia da vittime sembrano diventati colpevoli, il resto non conta più”. La mente torna a qualche mese fa quando, dopo giorni di insinuazioni, Rita e Giuseppe Poggi uscirono di casa e davanti a un muro di cronisti dovettero difendere la figlia, vittima come loro eppure paradossalmente finita nell’occhio del ciclone. “I genitori di Chiara volevano rimanere il più possibile al di fuori da questa nuova tempesta mediatica, a cui certo si erano abituati in passato. In questa fase però – racconta Paolo – avrebbero voluto rimanere ad aspettare, aspettare le risultanze, vedere quello che eventualmente verrà prodotto dalla Procura e da questa nuova indagine, per capire se dietro c'è qualcosa che cambia tutto quello che è stato scritto e detto fino oggi, oppure no. E invece questa attesa che avrebbero voluto trascorrere nel silenzio, ha lasciato spazio a una serie di voci e dicerie, che li ha costretti a uscire di casa e a parlare per difendere la memoria di una ragazza che non c’è più. A me piacerebbe che qualcuno facesse un passo indietro oggi – aggiunge il cugino ed esperto informatico - e cominciasse a dire, proprio oggi che è l’anniversario della sua morte, che la vera vittima è Chiara. Perché su questa vicenda si è creato un enorme caos, servirebbe un po’ più di cautela, di prudenza da parte di tutti. Quello che verrà fuori, lo scopriremo col tempo”. Nel dolore provocato dalla nuova tempesta c’è una cosa però che ha ferito particolarmente i familiari di Chiara: “E’ servito addirittura l’intervento del Garante della Privacy perché qualcuno ha ritenuto di poter fare delle masterclass a pagamento, mostrando le foto del cranio di Chiara – racconta Paolo. Uso le sue parole ‘Vuoi vedere le foto del cranio di Chiara dopo l'aggressione?’ Sono parole che non solo suonano fortemente distorte, stonate, sbagliate, irrispettose della vittima, della famiglia, irrispettose di tutto. Chi ha ritenuto di farlo non aveva nessuna autorizzazione da parte nostra di pubblicare quelle foto, e ripeto è dovuto intervenire il Garante, perché si è perso pure quel minimo di senso di rispetto della vittima e in generale delle persone. Purtroppo in troppi vivono ormai questa vicenda come se fosse un gioco in cui ognuno muove le pedine o sceglie - tipo il Cluedo - l'arma del delitto, la stanza, il luogo, le persone, in base a quello che gli sta più simpatico o antipatico. È qualcosa che non doveva succedere e su cui dovremmo riflettere tutti, secondo me”. Le inchieste, ieri Ad aver scatenato di nuovo il clamore - 18 anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi – è stata la nuova indagine della Procura di Pavia che va in tutt’altra direzione rispetto a quella che aveva portato nel 2015 alla condanna definitiva a 16 anni di reclusione per Alberto Stasi. Un unicum in effetti da un punto di vista giuridico, che oggi vede un indagato di omicidio in concorso con un altro già condannato e che non segue l’iter di una revisione del processo, ma quello di un’inchiesta parallela. Al centro della quale c’è Andrea Sempio, amico di Marco, il fratello di Chiara, che come lui all’epoca dei fatti era poco più che diciottenne e frequentava assiduamente casa Poggi. L’inchiesta è ancora in fase di indagini preliminari, si è in attesa degli esiti degli accertamenti fatti nel corso di un incidente probatorio disposto dal gip di Pavia Daniela Garlaschelli e affidato agli esperti della polizia scientifica di Milano. In questa nuova fase Paolo Reale non ha un incarico, ma inevitabilmente – avendo seguito tutto il precedente iter processuale da consulente di parte civile - si è fatto un’idea precisa. “La mia idea si è consolidata nel corso di tanti anni, e anche alla luce di quello che sta emergendo, credo che quanto appurato dal lunghissimo procedimento giudiziario che si è svolto con cinque gradi di giudizio, non sia lontano dalla realtà come invece si vorrebbe far credere oggi. Come tecnico, ragionando da informatico, sicuramente sono sempre pronto a dire che se qualcosa è stato valutato male bisogna rivalutarlo, rivederlo, rileggerlo i inquadrato correttamente. Finora però non ci sono state evidenze che abbiano ribaltato la situazione a mio avviso. Tra l’altro – aggiunge l’espero informatico - c’è stato un momento in questa nuova fase processuale in cui l'avere la certezza, data da una sentenza definitiva, che ci fosse un colpevole, da qualcuno è stato interpretato come un non volere andare a fondo. Ecco rispetto a questa che si è trasformata in una vera e propria accusa alla famiglia, come se noi non fossimo interessati alla verità, come se ci fosse qualcuno che ha una verità già scritta su un foglietto e noi la volessimo nascondere, vorrei dire che non è assolutamente vero” precisa Paolo Reale. E aggiunge che nel corso dei 5 gradi di giudizio dal 2008 al 2015 “come parte offesa siamo stati i più attivi a chiedere le verifiche a 360 gradi. Non voglio ripercorrere tutte le tappe ma ne cito alcune - spiega il cugino della vittima: Avevamo chiesto già nel processo di primo grado che venisse sequestrata la bicicletta nera da donna di Stasi e non fu fatto, fu fatto solo 7 anni dopo nell’appello bis. Avevamo chiesto proprio in quella sede anche di andare a fare le analisi genetiche sulle unghie di Chiara in modo tale da poter verificare l'eventuale presenza del DNA, che è peraltro quello che sta succedendo oggi e che ha portato alla riapertura dell’inchiesta, e avevamo chiesto anche l'analisi del capello che era rimasto nelle mani di Chiara. Tutte richiesta che avevamo fatto a suo tempo e sulle quali però c’era stata l’opposizione dell’allora difesa di Alberto Stasi, che nel 2014 durante il processo d’appello bis proveniva da due assoluzioni. Oggi, per carità, i difensori di Stasi hanno il pieno diritto di aver cambiato idea, e di chiedere loro ciò che avevamo chiesto noi a quel tempo e che ci era stato negato, però non può nemmeno passare la narrazione in maniera capovolta, cioè di chi allora si era opposto a tutte queste verifiche e che oggi invece vuol dare la colpa all'altra parte”. Le inchieste, oggi Al centro della nuova indagine ci sono le tracce biologiche rinvenute su tre margini delle unghie di Chiara e che ora secondo la Procura di Pavia che lo ha iscritto nel registro degli indagati sono riconducibili a Sempio e proprio su questo elemento si sofferma Paolo Reale: “Nel 2014 i consulenti di Stasi –le attività peritali anche allora si svolsero collegialmente - avevano sostenuto fortemente che da un DNA così degenerato come quello trovato sulle unghie della vittime, e che aveva dato luogo nelle diverse amplificazioni a risultati totalmente diversi uno dall'altro, non avrebbe mai potuto essere utilizzato per nessun tipo di confronto, né per inclusione né per esclusione. Ora invece dicono esattamente il contrario. Quindi io mi limito a dire: abbiamo un nuovo perito, si dovrà esprimere anche su questo, però non possiamo dimenticarci di quello che è successo”. Si attende ora di capire quale sarà l’esito finale dell’incidente probatorio sulle tracce biologiche e sulle impronte dattiloscopiche, una sessantina oltre a quelle che verranno rilevate sull'immondizia di quel 13 agosto 2007 in casa Poggi, rinvenute sulla scena del crimine e conservate su fascette paradesive, perché precisa il cugino di Chiara ed esperto informatico “la nostra idea è quella che si deve fare chiarezza su tutti i fronti. Sebbene – ammette – spiaccia che alcune richieste fatte dalla parte civile oggi non siano state accolte e non ne capiamo il motivo. Speriamo solo di non dover tornare in futuro a fare quello che magari veniva chiesto cinque o sei anni prima come sta già succedendo”. Su Alberto Stasi poi precisa “da parte dei genitori di Chiara non c’è mai stato alcun pregiudizio, la convinzione della sua colpevolezza si costruì nel tempo tanto che tutti ricordiamo le sue immagini vicino ai miei zii il giorno del funerale di Chiara. Se dovessi trovare un momento in cui la fiducia in lui iniziò a vacillare è forse quando Stasi cercò di giustificare la presenza di sangue sui pedali della sua bicicletta, che gli venne contestata nel settembre 2007, dicendo che poteva avere pestato in casa sangue mestruale di Chiara. Ecco penso che quello sia stato il punto di partenza in cui iniziammo a cambiare percezione sul possibile ruolo che Alberto Stasi poteva aver avuto nella morte di Chiara. E’ stato un percorso lungo e doloroso come tutto il resto. E comunque la valutazione, il giudizio non è stato della famiglia, ma quello espresso dalle condanne.” Sempio e la guerra di perizie Su Andrea Sempio la famiglia di Chiara non ha mai avuto alcun sospetto. “Conoscevamo gli atti, sapevamo che Andrea era stato sentito come anche alcuni altri amici di Marco allora, però nessun altro elemento fu mai collegato a lui fino al 2016. La nuova indagine nei suoi confronti è stata di fatto una sorpresa”. A portare alla riapertura dell’indagine e all’iscrizione nel registro degli indagati per la seconda volta Sempio, già indagato nel 2016 e la cui posizione allora era stata archiviata pochi mesi dopo, sono state le tracce biologiche rinvenute sulle unghie di Chiara che nel 2014 erano state ritenute non attendibili e quindi non comparabili dal perito nominato dalla corte d’assise d’appello e che ora invece secondo la Procura di Pavia e la difesa di Stasi sono riconducibili a Sempio. L’orizzonte per capire dove andrà la nuova indagine è fine ottobre, quando gli esiti finali dell’incidente probatorio a cui partecipano i consulenti di tutte le parti – Sempio, Stasi e Poggi – arriverà in aula. Intanto infuria la battaglia di perizie. A cominciare da quella sull’interpretazione dell’impronta 33 – di cui oggi resta solo una fotografia - repertata sul muro destro delle scale della villetta di via Pascoli in fondo alle quali fu trovato il corpo senza vita di Chiara Poggi - che per la difesa di Alberto Stati sarebbe la traccia del palmo di una mano di Andrea Sempio impregnato di sudore e sangue, mentre la difesa dell'indagato parla solo di sudore e comunque la disconosce anche per la carenza delle cosiddette ‘minuzie’, i punti di contatto cioè, necessarie per l'attribuzione. Per la Procura invece, che accusa Sempio, i punti di corrispondenza tra quell’impronta e la mano dell’indagato sarebbero quindici. Sullo sfondo dell’inchiesta poi resta quel dna ignoto trovato sulla garza non sterile usata per fare un tampone orale alla vittima al momento dell’autopsia e sulla quale è già stato trovato il dna di un assistente del medico legale che allora si occupò delle operazioni autoptiche. La Procura procederà al prelievo di un campione di dna a diverse persone per poterlo comparare, probabilmente allargando il perimetro anche all’entrourage delle amicizie di Marco Poggi e Andrea Sempio. Al momento però non è possibile escludere una contaminazione involontaria di quella garza, si procede dunque anche alla ricostruzione dell’elenco di persone che intervennero subito dopo il delitto del 13 agosto 2007 tra soccorritori e investigatori. Una lista piuttosto lunga che richiederà ancora tempo.

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Diletta Giuffrida