Caporalato, cos'è e quali sono le cifre del fenomeno

Cronaca
Il furgone con a bordo le 12 vittime, tutti stranieri, che avevano finito di lavorare nei campi e che hanno perso la vita in un'incidente nell'agosto 2018 nel Foggiano (Ansa)

Sfruttamento e paghe da fame per 12 ore di lavoro: il fenomeno è un business da 4,8 miliardi, con 430mila lavoratori agricoli a rischio. Tra di loro spesso ci sono migranti. È un reato penalmente perseguibile dal 2011. Nel 2016 la legge Martina ha inasprito le pene

Il caporalato è una piaga che continua ad affliggere il settore agricolo italiano, strettamente connesso al fenomeno delle migrazioni. Si tratta di un fenomeno economicamente molto florido, soprattutto per le organizzazioni criminali che decidono di avviare attività di questo tipo: si tratta di un business di quasi 5 miliardi di euro, con 400mila lavoratori coinvolti. Tra questi, appunto, molti migranti, spesso irregolari, che vengono sfruttati con paghe da fame per un lavoro anche da 12 ore al giorno, costretti in abitazioni fatiscenti e in condizioni igieniche pessime. Il caporalato è perseguibile penalmente dal 2011 e nel 2016 una legge a firma dell'allora ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina ha inasprito le pene e introdotto nuovi strumenti per contrastare il fenomeno. Ma nuovi episodi e situazioni di sfruttamento continuano a emergere, come nel caso di Latina, dove un'organizzazione criminale che impiegava centinaia di stranieri "in condizioni disumante" è stata sgominata dalla polizia.

Cos’è il caporalato

Il caporalato è una forma illegale di organizzazione e reclutamento dei lavoratori, dove si utilizzano braccianti pagati a giornata, reclutati da intermediari illegali, chiamati appunto caporali. Questi intermediari forniscono la manodopera al datore di lavoro e trattengono per sé una parte del compenso, che gli viene corrisposta sia dal datore del lavoro che dal lavoratore. Le paghe sono molto più basse dei minimi salariali. Il caporalato, entrato nel campo della criminalità organizzata, mira a sfruttare la manodopera a basso costo. 

Reato dal 2011, pene inasprite con la legge Martina del 2016

Il caporalato è reato dal 2011, quando l’articolo 12 del decreto n. 138/2011 ha introdotto una pena che va dai 5 agli 8 anni di reclusione. Successivamente, la legge 199 del 2016, a firma dell’allora ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, ha introdotto nuovi strumenti penali, come la confisca dei beni, come avviene con le organizzazioni criminali mafiose, l'arresto in flagranza e la responsabilità del datore di lavoro. Sono state poi inasprite le pene, con la reclusione da uno a sei anni per ogni lavoratore reclutato. La legge ha anche un intento preventivo che mira a valorizzare le imprese in regola attraverso l'iscrizione alla "Rete del lavoro agricolo di qualità" per sperimentare nuove forme di intermediazione del lavoro agricolo, con lo scopo di promuovere la legalità e il rispetto dei diritti dei lavoratori. Prevede inoltre che i ministeri delle Politiche agricole, del Lavoro, e della Giustizia predispongano un piano nazionale di accoglienza con soluzioni per il trasporto dei lavoratori e il loro alloggio in congrue realtà domiciliari.

Un business da 4,8 miliardi di euro

Secondo le stime dell’ultimo "Rapporto agromafie e caporalato" pubblicato nel luglio dall'Osservatorio Placido Rizzotto Flai Cgil, il business del lavoro irregolare e del caporalato in agricoltura vale 4,8 miliardi di euro mentre 1,8 miliardi sono di evasione contributiva. Il numero di aziende che ricorrono all'intermediazione tramite caporale, stima il rapporto, è di 30mila, circa il 25% del totale delle aziende del territorio nazionale che impiegano manodopera dipendente. Il 60% di tali aziende ingaggiano quelli che nel rapporto sono definiti "caporali capi-squadra", che si differenziano per rapporti di lavoro comunque "decenti" (seppur irregolari) da quelli "indecenti" e gestiti dai caporali collusi con le organizzazioni criminali e mafiose.

430mila lavoratori agricoli a rischio

I lavoratori agricoli esposti al rischio di un ingaggio irregolare e sotto caporale sono 430 mila: di questi, più di 132 mila sono in condizione di "grave vulnerabilità sociale" e "forte sofferenza occupazionale". Il tasso di irregolarità dei rapporti di lavoro in agricoltura è pari al 39%. Più di 300 mila lavoratori agricoli, quasi tre su dieci, lavorano meno di 50 giornate l'anno: presumibilmente in questo bacino è presente molto lavoro irregolare o grigio. Nel primo semestre del 2018, l’Ispettorato nazionale del lavoro ha riscontrato nella sua attività di vigilanza 5.875 rapporti di lavoro irregolari, 2.311 delle quali completamente in nero. Tra questi, 350 hanno coinvolto lavoratori extracomunitari irregolari.

Paghe da fame per fino a 12 ore di lavoro al giorno

I lavoratori sottoposti a grave sfruttamento in agricoltura non hanno alcuna tutela e alcun diritto garantito dai contratti e dalla legge: la paga media oscilla tra i 20 e i 30 euro al giorno ma resiste il lavoro a cottimo (3/4 euro per un cassone da 375 chili) e il salario è inferiore di circa il 50% rispetto a quanto previsto dai contratti nazionali e provinciali. I lavoratori sotto caporale devono pagare a questi ultimi il trasporto a seconda della distanza (mediamente 5 euro) e i beni di prima necessità (1,5 euro per una bottiglietta d'acqua, 3 euro per un panino). L'orario medio va dalle 8 alle 12 ore di lavoro al giorno. Le donne sotto caporale percepiscono un salario inferiore del 20% rispetto ai loro colleghi ma sono documentati anche casi di sfruttamento con lavoratori migranti pagati un euro l'ora.

La stretta correlazione con la questione migranti

Proprio la questione migranti è strettamente correlata al caporalato. Nelle campagne del Sud Italia i migranti, spesso irregolari, sono tra le prime vittime del fenomeno. Sempre secondo il rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto, gli stranieri si confermano "una risorsa fondamentale". Su circa un milione di lavoratori agricoli sono stati registrati con contratto regolare in 286.940, circa il 28% del totale, di cui 151.706 comunitari (53%) e 135.234 provenienti da paesi non Ue (47%). Ma a questi numeri occorre aggiungere le stime sul lavoro sommerso: secondo il Crea (Consiglio di ricerca per l’economia agricola), tra regolari e irregolari, i lavoratori stranieri nel settore agricolo sarebbero 405mila: il 16,5% ha un rapporto di lavoro informale (67mila persone) e il 38,7% una retribuzione non sindacale (157mila).

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