Caporalato, cos'è e quali sono le cifre del fenomeno

Cronaca
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Nelle campagne italiane ci sono 230mila lavoratori sfruttati. Circa 55mila sono donne e il 30% non migranti. La paga in media si aggira sui 20 euro al giorno, per lavorare anche fino a 14 ore. Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, le aree dove lo sfruttamento dei braccianti è più radicato sono numerose, 405 quelle censite, dall’Agro pontino al Veneto fino alla Campania e al Foggiano. Il caporalato è un reato penalmente perseguibile dal 2011. Nel 2016 la legge Martina ha inasprito le pene

Il caporalato è una piaga che continua ad affliggere il settore agricolo italiano, strettamente connesso al fenomeno delle migrazioni. Si tratta di un fenomeno economicamente molto florido, soprattutto per le organizzazioni criminali che decidono di avviare attività di questo tipo: si tratta di un business miliardario, con centinaia di migliaia di lavoratori coinvolti. Tra questi, appunto, molti migranti, spesso irregolari, che vengono sfruttati con paghe da fame per un lavoro anche da 12-14 ore al giorno, costretti in abitazioni fatiscenti e in condizioni igieniche pessime. Il caporalato è perseguibile penalmente dal 2011 e nel 2016 una legge a firma dell'allora ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina ha inasprito le pene e introdotto nuovi strumenti per contrastare il fenomeno. Ma nuovi episodi e situazioni di sfruttamento continuano a emergere, come nel caso di Satnam Singh, il giovane bracciante indiano morto in provincia di Latina dopo aver perso un braccio in un incidente sul lavoro.

Cos’è il caporalato

Il caporalato è una forma illegale di organizzazione e reclutamento dei lavoratori, dove si utilizzano braccianti pagati a giornata, reclutati da intermediari illegali, chiamati appunto caporali. Questi intermediari forniscono la manodopera al datore di lavoro e trattengono per sé una parte del compenso, che gli viene corrisposta sia dal datore del lavoro che dal lavoratore. Le paghe sono molto più basse dei minimi salariali. Il caporalato, entrato nel campo della criminalità organizzata, mira a sfruttare la manodopera a basso costo. 

Reato dal 2011, pene inasprite con la legge Martina del 2016

Il caporalato è reato dal 2011, quando l’articolo 12 del decreto n. 138/2011 ha introdotto una pena che va dai 5 agli 8 anni di reclusione. Successivamente, la legge 199 del 2016, a firma dell’allora ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, ha introdotto nuovi strumenti penali, come la confisca dei beni, come avviene con le organizzazioni criminali mafiose, l'arresto in flagranza e la responsabilità del datore di lavoro. Sono state poi inasprite le pene, con la reclusione da uno a sei anni per ogni lavoratore reclutato. La legge ha anche un intento preventivo che mira a valorizzare le imprese in regola attraverso l'iscrizione alla "Rete del lavoro agricolo di qualità" per sperimentare nuove forme di intermediazione del lavoro agricolo, con lo scopo di promuovere la legalità e il rispetto dei diritti dei lavoratori. Prevede inoltre che i ministeri delle Politiche agricole, del Lavoro, e della Giustizia predispongano un piano nazionale di accoglienza con soluzioni per il trasporto dei lavoratori e il loro alloggio in congrue realtà domiciliari.

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I numeri del caporalato

Il caporalato riguarda da vicino 230mila lavoratori nelle campagne italiane, persone non titolari di contratti regolari di lavoro e quindi senza diritti. Di questi, 55mila sono donne e il 30% è costituito da cittadini italiani o dell’Unione europea, non da migranti extra-comunitari. Secondo le stime dell’ultimo rapporto dell'Osservatorio Placido Rizzotto Flai Cgil, che da anni monitora il caporalato e le agromafie nel nostro Paese, i dati coincidono con quelli dell’Istat, e dicono che più di un bracciante su quattro in Italia lavora in nero. Jean-René Bilongo, presidente dell’osservatorio, dice che la paga in media è di "20 euro al giorno per una giornata di lavoro che va dalle 10 alle 14 ore. Ma c’è anche chi di euro ne prende solo 10 oppure nemmeno uno, ma acqua e un panino e basta. Le donne poi vengono pagate il 20-30% in meno degli uomini".

Quanto vale il business

Quanto valga l’economia nera dello sfruttamento, è difficile dirlo. Bisogno spiega: “Anni fa avevamo tentato un calcolo ma non eravamo arrivati a niente. Quello che possiamo calcolare è l’evasione contributiva nel settore agricoltura, che dovrebbe essere compresa tra i 700 e 900 milioni di euro. In questa stima però non rientrano tutti gli anelli della filiera agroalimentare ma solo il primo, per questo sembra così bassa”. Secondo stime di qualche anno fa, il business del lavoro irregolare e del caporalato in agricoltura potrebbe valere circa 4-5 miliardi di euro.

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Paghe da fame per fino a 12 ore di lavoro al giorno

I lavoratori sottoposti a grave sfruttamento in agricoltura non hanno alcuna tutela e alcun diritto garantito dai contratti e dalla legge: la paga media oscilla tra intorno ai 20-30 euro al giorno ma resiste il lavoro a cottimo (3/4 euro per un cassone da 375 chili) e il salario è inferiore di circa il 50% rispetto a quanto previsto dai contratti nazionali e provinciali. I lavoratori sotto caporale devono pagare a questi ultimi il trasporto a seconda della distanza (mediamente 5 euro) e i beni di prima necessità (1,5 euro per una bottiglietta d'acqua, 3 euro per un panino). L'orario medio va dalle 8 alle 12 ore di lavoro al giorno, ma si arriva anche a 14. 

La mappa del caporalato

Delle 405 aree di caporalato diffuso censite dall’Osservatorio Placido Rizzotto, più della metà sono al Nord (84 nel Nord-Est e 45 nel Nord-Ovest), poi 123 si trovano al Sud, 82 nel Centro e 71 nelle isole. L’Agro pontino e la provincia di Latina sono tra le zone dove lo sfruttamento dei braccianti è più radicato. Solo in questa provincia, 13 Comuni su 33 soffrono il fenomeno. Ma la mappa copre tutta l’Italia: dalla Capitanata foggiana alle campagne piemontesi di Saluzzo, dal Ragusano al Metapontino, dal Fucino abruzzese al Veneto, fino alla Campania.

Dalle inchieste ai processi

Altri dati sul fenomeno emergono dalle inchieste per sfruttamento lavorativo aperte dalle Procure italiane, in aumento esponenziale. Secondo l’ultimo rapporto, si sta riducendo il divario tra i casi registrati al Sud rispetto a quelli nel resto del Paese. Le inchieste censite sono in tutto 834. Tra i procedimenti penali per sfruttamento lavorativo che sono stati censiti, in 357 di questi è stato imputato solo il datore di lavoro, in 164 casi solo il caporale, in 138 caso entrambi. Questo conferma, dicono i ricercatori, l’efficacia della riforma della legge 199/2016 che permette di punire le condotte dei datori di lavoro anche quando non c’è l’interposizione del caporale nel reclutamento o nella gestione della manodopera.

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