Verifica dell'età sui siti porno: cosa non torna

Bella, e attesissima, fregatura. La normativa introdotta con il decreto Caivano dell’ormai lontano 2023 ha stabilito che chi diffonde contenuti pornografici in Italia debba dotarsi di sistemi di verifica dell’età degli utenti, per tutelare la dignità e il benessere dei minori. Sacrosanto. La delibera 96/25/CONS di Agcom dello scorso aprile ha quindi formalizzato lo schema: un “soggetto certificatore terzo” deve verificare l’età dell’utente, emettere un codice anonimo che l’utente poi fornisce alla piattaforma così che la piattaforma non riceva né conservi i dati personali di chi accede a quei contenuti. E fin qui, tutto sembrava perfetto sulla carta: tutela della privacy, protezione dei minori, responsabilizzazione delle piattaforme. Ma ecco il punto: l’obbligo è entrato in vigore il 12 novembre eppure non c’è alcun segnale concreto di un sistema operativo pronto per utenti e piattaforme. Tutto è rimasto più o meno come prima. E non poteva che andare così. Vediamo perché. Quello che non torna Primo: per l’utente medio non è ancora disponibile un sistema per ottenere quel “token anonimo” o “codice” da presentare alla piattaforma. Gli strumenti principali di identità digitale in Italia, come SPID o CIE, non sono stati adattati per rilasciare un’attestazione anonima di maggiore età specifica per l’accesso ai siti porno e potenzialmente a piattaforme di scommesse e altri contenuti proibiti ai minori. Secondo: lo stesso vale per le piattaforme. Anche volendo implementare un accesso così regolamentato, a quali strumenti legittimi potrebbero appoggiarsi? La gran parte prosegue come prima, pochi siti hanno implementato un sistema che però da quel che scrive la stessa Agcom e da quanto avrebbero senz’altro da dirne altre autorità di garanzia non garantisce il doppio anonimato e uno solo si è auto-sospeso. Terzo: la finestra temporale appare più un orizzonte normativo che un’agenda operativa. Per i siti basati all’estero il termine effettivo per adeguarsi – e questo è stato forse comunicato male, dall’Agcom come dai media - scadrà addirittura il primo febbraio prossimo. La mancata collaborazione tra Agcom, AgID e altri attori Qui si apre la zona più spinosa. Se l’obiettivo è che “le piattaforme possano ricevere un token di conferma della maggiore età” a partire dal 12 novembre, allora ci si chiede: perché non si è predisposto in anticipo un meccanismo all’interno di Spid o un’integrazione con wallet d’identità europei in sperimentazione ma ancora non rilasciati per tutti in Italia, che consentisse già di emettere in modo “anonimo” quell’attestazione? Il risultato è quanto spesso accade nel nostro Paese: un obbligo che parte solo sulla carta senza che i passaggi operativi siano stati davvero messi in moto. Le intenzioni sono le migliori ma ci voleva molto a immaginare che, senza uno strumento davvero efficace, quel 12 novembre sarebbe stato l’ennesimo buco nell’acqua? Perché, all’epoca della delibera, non è stato predisposto un piano condiviso tra Agcom, AgID, i gestori di identità digitale e possibilmente le piattaforme interessate? Possibile che Spid o l’app IO non fossero modificabili – per tempo, col dovuto confronto con tutte le parti in causa - così da poter generare un codice anonimo e temporaneo che attestasse la sola maggiore età, senza incorporare altri dati, da utilizzare per l’accesso alle piattaforme? Nemmeno il mercato è stato sondato C’è poi un altro punto che rende la vicenda ancora più paradossale. Se davvero - per ragioni tecniche, politiche o di opportunità, il famigerato “controllo di stato” che poi siamo prontissimi a regalare alla prima società russa, asiatica o californiana che passa - non si era nelle condizioni di utilizzare Spid, CIE o altri strumenti pubblici per produrre quel famoso token anonimo, sarebbe stato quantomeno logico coinvolgere chi, sul mercato, dice di avere già soluzioni funzionanti e rispettose della privacy. Un nome su tutti: Yoti, la tecnologia di verifica dell’età sviluppata da U-Verse, già operativa e impiegata da piattaforme come OnlyFans, che infatti è l’unica a essersi presentata puntuale all’appuntamento del 12 novembre. Non per merito di un’infrastruttura statale ma perché aveva già un sistema di age-verification pronto, testato e conforme ai requisiti di tutela della privacy. Altri esempi sarebbero Private ID, Sumsub, Veriff, il sistema britannico AgeChecked conforme fra l’altro ai requisiti del Digital Economy Act e alle linee guida dell’Information Commissioner’s Office, Idemia, Socure e molti altri, alcuni dei quali elencati qui. Possibile che Agcom non abbia aperto un confronto serio con questi attori – sono molti – per certificare i provider più sicuri e approvati in Italia e secondo le normative italiane del “doppio anonimato” per un’operazione del genere prima di imporre una scadenza a cui quasi nessuno poteva realisticamente adeguarsi? Anche questo contribuisce alla sensazione che si sia arrivati al 12 novembre senza aver esplorato davvero tutte le opzioni praticabili. Il rischio concreto Il rischio è quindi doppio: da un lato è anzi una certezza. I minorenni continuano ad accedere senza controllo ai siti in questione dall’altro. Dall’altro, i cittadini perdono fiducia in un sistema digitale che promette tanto e non consegna nulla di tangibile. Dovremmo rapidamente chiarire come Spid o altri strumenti di identità digitale privati disponibili sul mercato possano essere messi a disposizione in Italia nel giro di poco tempo per la certificazione anonima della maggiore garantendo il doppio anonimato e tutte le altre prescrizioni legate alla riservatezza dei dati personali. Agcom deve inoltre comunicare uno stato di avanzamento concreto del divieto: quante piattaforme hanno aderito, quali certificatori terzi sono stati mano a mano verificati e accreditati e con quali sistemi messi a disposizione. Le piattaforme devono collaborare attivamente nel processo di integrazione, non limitarsi a ignorare l’obbligo o avviare inutili campagne polemiche. I cittadini devono infine essere informati in modo trasparente. Senza queste mosse, il 12 novembre rischia di entrare nella cronaca del digitale italiano come l’ennesima “giornata storica” che però di storico ha solo uno sconfortante colpo a vuoto.

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Simone Cosimi