L’inarrestabile calo delle competenze scolastiche

Abbiamo un problema. È grosso come una casa. Anzi, come una scuola, o meglio come la Scuola. Perché le preoccupazioni investono tutto il sistema educativo italiano nel suo complesso che fa registrare da anni un calo delle competenze degli alunni in ogni ordine e grado e in ogni area del Paese. L’ultima conferma di questa tendenza, che suona molto come emergenza, è arrivata dal più recente rapporto Invalsi, relativo alle prove dell’anno scolastico appena concluso: la percentuale di alunni che raggiunge un livello almeno adeguato di competenze in Italiano e Matematica diminuisce ancora e continua a essere abbondantemente sotto le soglie precedenti la pandemia che, come noto, ha rappresentato uno spartiacque in molti ambiti, ma soprattutto in quello educativo. Tuttavia, il calo è così vistoso e prolungato nel tempo che attribuirlo solo al Covid, che pure ha giocato un ruolo, non basta più come si legge anche nelle conclusioni del Rapporto Invalsi 2025: “In primo luogo, l’ipotesi di un effetto pandemico di medio-lungo periodo sugli apprendimenti resta plausibile ma diventa sempre meno sufficiente a spiegare da solo le dinamiche in atto”. Bisogna allargare lo sguardo anche alla più generale trasformazione della società e all’impatto crescente delle tecnologie. “In questo senso - si legge nel documento - la pandemia ha probabilmente accelerato fenomeni già in atto, rendendoli più visibili e urgenti”. E allora vediamo più nel dettaglio i numeri di questa accelerazione che, come detto, purtroppo non va verso il meglio. Dopo la pandemia il diluvio Non è solo il sistema scolastico italiano a essere stato messo in crisi dalla pandemia. Il solco scavato dal Covid e dalla sospensione dell'usuale corso delle lezioni ha avuto un impatto generalizzato, soprattutto nelle economie meno avanzate, ma anche in quelle più ricche come gli Stati Uniti. Ma certo nel nostro Paese il processo di deperimento delle competenze sta assumendo le proporzioni di un crollo se non verticale, certo molto ripido sia per quanto riguarda l’Italiano che la Matematica, sia per la primaria che per la secondaria di secondo grado. Non si salva nessuno, o quasi. Se non visualizzi il grafico clicca qui Se guardiamo alle competenze relative alla lingua italiana in V elementare, la quota di studenti che raggiunge almeno il livello base nel 2025 resta invariata rispetto al 2019: 75% sia allora che oggi. E qui si fermano le osservazioni consolatorie. Per tutti gli altri gradi, infatti, il calo continua a essere significativo. Il salto verso il basso che balza di più agli occhi riguarda la quinta superiore. Nel 2019 la quota di alunni giunti all’ultimo anno delle superiori che otteneva un punteggio almeno adeguato in Italiano era pari al 64%. Nel 2025 è scesa al 52%, 12 punti percentuali in meno rispetto al periodo pre-pandemico, non proprio un’inezia. Anzi, un’enormità. Discorso analogo per la Matematica, dove non c’è neanche la consolazione della quinta primaria: tutti i gradi, nessuno escluso, calano rispetto al 2019. E anche in questo caso la discesa più consistente e preoccupante riguarda gli studenti più grandi, quelli che devono affrontare l’esame di maturità. Si passa dal 61% di competenze almeno adeguate del 2019 al 49% del 2025: 12 punti percentuali di differenza. Forse non è un caso che parliamo di una coorte di studenti che ha cominciato le superiori proprio in corrispondenza dello scoppio della pandemia. Differenze territoriali Pandemia prima e dopo, dunque. Ma c’è un altro aspetto del problema scuola in Italia che tende a ripetersi immutato nel tempo: le differenze territoriali. In particolare, come spesso accade nello Stivale, quelle tra le aree settentrionali e meridionali del Paese. E non parliamo di sfumature. Per quanto riguarda l’Italiano tra il Nord Est, il territorio migliore, e Sud e Isole, quello meno performante, nel 2024/25 ci sono 18 punti percentuali di differenza. Peggio ancora per la Matematica, con i punti percentuali di divario che diventano 23. Sembra quasi di paragonare due sistemi educativi diversi. Se non visualizzi il grafico clicca qui Come sottolinea lo stesso Rapporto: “Continuano a emergere disuguaglianze territoriali rilevanti, già evidenti nella scuola primaria e ancora più marcate nei cicli successivi”. E non basta chiamare in causa il diverso contesto sociale, economico e culturale per assolvere la scuola. È lo stesso documento di commento a dirlo quando parla di “divari importanti tra Nord e Sud – e in alcuni casi anche tra Centro e Sud – che chiamano in causa il ruolo delle politiche educative e la necessità di azioni strutturali, sin dalla primissima infanzia”. Eppure ci sarebbe anche una buona notizia su questo fronte, almeno in apparenza. Rispetto alla rilevazione precedente, i divari territoriali sono infatti diminuiti. Nell’anno scolastico 2023/24 erano 21 punti percentuali tra Sud e Isole e Nord Est in Italiano e 27 per la Matematica. Ma la buona notizia finisce qui, nei crudi numeri. Perché se poi si guarda a come queste differenze si sono ridotte si scopre che non è avvenuto grazie a un miglioramento del Mezzogiorno, che è comunque leggermente regredito. L'avvicinamento è dovuto soprattutto all’arretramento vistoso delle regioni settentrionali. Se non visualizzi il grafico clicca qui Anche per questa ragione, la conclusione del Rapporto su questo aspetto è tanto laconica quanto chiara: “Le differenze territoriali – già visibili nella scuola primaria – rendono inoltre evidente la necessità di intervenire il più precocemente possibile, a partire dalla fascia 0-6. Investire nelle prime età e nei contesti più fragili significa costruire basi più solide per il futuro e ridurre progressivamente i divari che ancora segnano il Paese”.

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Raffaele Mastrolonardo