No al cellulare in classe, sì all’educazione digitale: come fare?

Da settembre, tutti gli studenti italiani dovranno rinunciare al cellulare in classe. È una novità solo per gli alunni delle scuole superiori – alle elementari e alle medie il bando era già in vigore – e varrà per tutto l’orario scolastico anche per scopi didattici: in pratica, lo smartphone si lascia all’ingresso e si ritira all’uscita. Le eccezioni sono pochissime: lo potranno usare gli studenti con disabilità, se lo prevede il loro piano educativo personalizzato, e le classi di Informatica e Telecomunicazioni. Per gli altri, niente social, video o messaggi a lezione. Era una decisione “improcrastinabile”, secondo il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che intende vietare le distrazioni generate da quella che definisce a tutti gli effetti una “droga”. Dal dicastero fanno sapere, però, che saranno i singoli istituti a decidere come applicare il divieto: se, ad esempio, sequestrando i dispositivi all’entrata o se concedendone l’uso durante la ricreazione. E sempre il Governo ribadisce che il divieto del cellulare non si dovrà allargare a tutti i dispositivi digitali. Anzi. I tablet dovranno aumentare di numero dal prossimo anno – uno ogni due studenti, auspica Valditara – e i docenti avranno “il dovere di conoscere e capire le potenzialità dell’intelligenza artificiale”, come suggerisce la bozza delle nuove Indicazioni nazionali firmate dal Ministero. Dunque, il cellulare è bandito ma l’educazione digitale dovrà essere potenziata. Si può fare? “Non dobbiamo fare confusione tra nuove tecnologie digitali e smartphone che, in sostanza, significano social media. Si tratta di due rischi molto diversi”, commenta Laura Fumagalli, responsabile della piattaforma di didattica digitale MyEdu, che da 13 anni testa l’impatto dei device nella didattica e realizza strumenti digitali per l’apprendimento. Social: quali rischi per l'apprendimento In Italia, il cellulare è in mano a quasi tutti gli adolescenti: nel 2025, secondo uno studio condotto dall’Università di Palermo e pubblicato sulla rivista PLoS One, il 90% lo utilizza ogni giorno. La ricerca ha osservato per sei mesi il comportamento di 403 giovani, tra i 15 e i 16 anni, e ha notato che 1 su 4 è incapace di staccarsi dai social, ha continua necessità di controllare le notifiche ed è irritato in assenza di una connessione. In altre parole, è dipendente dallo smartphone. Il rischio di indebolire le capacità cognitive – memoria e attenzione, in primis – è alto. Dal 2013 lo monitora il progetto statunitense Abcd , il più grande studio a lungo termine sullo sviluppo del cervello, che analizza ogni anno la corteccia cerebrale di 11mila nativi digitali, osservando un disallineamento tra la corteccia visiva, in aumento, e quella prefrontale, in riduzione. Il risultato? Una minore capacità di provare emozione “sociali”, come compassione, vergogna e senso di colpa. “L’esposizione a social e smartphone – commenta Fumagalli – non è un rischio solo per l’apprendimento, ma anche e soprattutto per le capacità di relazione. Banalmente, ogni giorno incontriamo adolescenti che hanno moltissimi problemi con i propri corpi perché i social, tramite continui paragoni, fanno crollare la loro autostima. Per non parlare del cyberbullismo, che è il fenomeno che ci preoccupa di più”. Multimodalità: la chiave per aprire le classi al digitale Ma la soluzione, secondo MyEdu, non può essere il bando. “Dobbiamo capire che non siamo di fronte a una scelta – sostiene la responsabile – tra smartphone ‘sì’ e smartphone ‘no’. Il digitale è da decenni nelle vite di ciascuno di noi. Nessuno ci sta chiedendo se ci piace o meno: dobbiamo solo sfruttarne il potenziale”. Per farlo, i pedagogisti di MyEdu hanno progettato un nuovo modo di fare didattica. Che passa da una parola-chiave: multimodalità. “Facciamo un esempio – chiarisce Fumagalli – Se devo spiegare la Rivoluzione francese, non dovrò più farlo attraverso la sola voce dell’insegnante. Tanto più che oggi ogni studente ha una propria sensibilità e una propria capacità di attenzione. Posso, piuttosto, attivare su uno smartphone un video che, a seconda delle esigenze, può esser rallentato, velocizzato, sottotitolato o altro. L’importante è che ogni alunno riceva un messaggio adatto alle proprie caratteristiche. Penso anche agli studenti con disturbi specifici o con disabilità: per le persone sorde sarebbe perfetto. Non possiamo negare i benefici delle nuove tecnologie nella didattica”. I neuropsichiatri e i pedagogisti di MyEdu, perciò, non fanno una distinzione netta tra smartphone e tablet: “Il divieto in toto del cellulare – critica la responsabile – è nefasto e contraddittorio. È una strada di comodo che fa ricadere l’onere della formazione solo sulle famiglie”. Compiti per casa 2.0 La responsabilità educativa, invece, secondo Fumagalli è da spartire tra famiglia, istituzioni e docenti. Che, con un’adeguata formazione alle nuove tecnologie, dovrebbero agire una “rivoluzione delle lezioni”. “MyEdu è in quasi 4mila scuole italiane – spiega Fumagalli – e l’esperienza ci ha fatto capire che i dispositivi digitali arricchiscono una didattica che, ormai, può essere frontale solo in piccola parte. Se un adulto parla a 25 ragazzini ininterrottamente per un’ora, perde la loro attenzione dopo 30 secondi. Con le nuove tecnologie, invece, la didattica può essere attiva e interattiva”. I primi a cambiare, in un aula tech, sarebbero i compiti per casa. Non più uno strumento di verifica delle conoscenze, ma un modo per costruirne di nuove. Secondo MyEdu per esempio, nel caso della Rivoluzione francese, un chatbot potrebbe essere utilizzato come esperto da interrogare per scoprire le posizioni dei giacobini durante il “regime del Terrore”. Presentando – e valutando, in un secondo momento – i risultati alla classe. “Ho paura che vietando del tutto gli strumenti – conclude Fumagalli – i ragazzi useranno, invece, i dispositivi digitali solo per svolgere più velocemente i compiti assegnati a casa. E non impareranno neppure a usare correttamente l’Ia. Non possiamo più ignorare l’esistenza di queste tecnologie e la rivoluzione che ci impongono nel modo di concepire la didattica”.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

No al cellulare in classe, sì all’educazione digitale: come fare?

Andrea Ceredani