E se del sostegno si occupassero tutti i docenti?

Il docente di sostegno rischia di scomparire dalle aule italiane, per rinascere come docente per l’inclusione. Quella che a prima vista è solo una rivoluzione in termini – al pari del ritorno dall’Esame di Stato alla Maturità – nasconde in realtà un nuovo modo di concepire l’insegnamento a studenti con disabilità e bisogni educativi speciali. Per come è pensato al momento, infatti, il nuovo insegnante sarebbe incaricato non solo degli alunni che beneficiano della legge 104: persone con “minorazione fisica, psichica o sensoriale” che è anche “causa di difficoltà di apprendimento”. Ma anche degli studenti con bisogni educativi speciali : una gamma vastissima di difficoltà che comprende tanto la dislessia quanto l’iperattività. In pratica, le stesse forze dovrebbero farsi carico di una platea molto più grande di quella attuale. La proposta è della Lega e attualmente si trova in discussione alla Commissione cultura della Camera dei deputati. La bozza, per ora, prevede all’articolo 2 una clausola di invarianza finanziaria: il cambiamento, cioè, non comporterà spese aggiuntive per lo Stato. Una riforma a costo zero che insiste su un esercito di precari: nel 2023, dei circa 220mila docenti di sostegno, solo il 40,6% aveva un contratto indeterminato. “Ma il primo problema è che questa riforma mette in crisi l’idea di inclusione. Per avere una scuola adatta a ogni studente, dovremmo cancellare i docenti di sostegno e fare in modo che l’inclusione sia un obbligo per tutti i docenti”. A pensarla così è Dario Ianes, ordinario di Pedagogia dell'inclusione all’Università di Bolzano e co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento, che commenta a Sky tg24 Insider la proposta del Governo. Professore, al di là dei termini, cosa cambierebbe davvero in classe con i nuovi “docenti per l’inclusione”? Si potrebbe derubricarla a una riforma cosmetica, linguistica, a una bandierina. Ma non è l’atteggiamento giusto. Con questa riforma, si isola ancor di più l’ex-insegnante di sostegno. Il messaggio è questo: la storia la fa il docente di storia, la geografia il docente di geografia e l’inclusione la fa il docente per l’inclusione. E quali sono i rischi? Il messaggio è fuorviante e negativo: è come se si istituisse una materia a sé stante, ma l’inclusione per legge è un obbligo di tutti i docenti. In più, scientificamente è un approccio contraddittorio. Se parliamo di integrazione di alunni con disabilità, ci rivolgiamo alle persone certificate tramite la legge 104. Ma, se parliamo di inclusione, dovremmo includere il 100% degli studenti. L’inclusione è per tutti: per chi ha iperdotazione, neurodivergenze, disturbi specifici dell’apprendimento, etc. Ma anche per gli studenti che non hanno difficoltà certificate. Se, invece, vogliamo affidare a questi nuovi docenti il preciso compito di gestire i Bes – come dicono – allora si tratta di una riforma ancora più pericolosa. Perché? Se diamo la responsabilità dei Bes a questi docenti per l’inclusione, deresponsabilizziamo automaticamente tutti i docenti curricolari: con il sostegno è sempre stato così storicamente. Nella pratica, si rischia un paradosso: quando un docente di matematica preparerà una verifica, dovrà far scrivere al docente per l’inclusione la traccia dell’alunno con bisogni educativi speciali? Ai piani educativi individualizzati per studenti con disabilità, però, partecipano tutti i docenti... Esatto. Lo prevede la sezione 8. Ogni docente deve occuparsi anche dell’alunno con disabilità perché è un suo alunno al pari degli altri. Quindi, deve compilare anche la sua parte del Piano. In altre parole, tornando all’esempio: io, docente di matematica, che verifica propongo a Mario che ha la sindrome di Down? È una responsabilità mia deciderlo perché io conosco il mio programma, i miei obiettivi e il mio alunno. E cosa cambierebbe con la riforma? Lo spiego continuando con l’esempio. Ammettiamo che un altro studente – chiamiamolo Simone – abbia la dislessia. Per lui, la scuola oggi prevede un piano didattico personalizzato. Per come stanno ora le cose, è lo stesso docente di matematica a dover preparare la didattica ad hoc per Simone, permettendogli ad esempio l’uso del computer come strumento compensativo. Ma, se passasse la legge per come è stata presentata, si potrebbe delegare al docente per l’inclusione anche la verifica di matematica di Simone. A queste condizioni, il rischio è che alcuni studenti vengano ghettizzati. Ma, in parte è già così: una docente di sostegno, ad esempio, mi ha confessato in questi giorni di aver dovuto trascorrere metà dell’anno scolastico fuori dalla classe insieme a due studenti con Dsa fuori, perché l’insegnante curricolare non era capace di adattare la propria didattica a loro. Quindi, c’è un problema di formazione al sostegno? Assolutamente sì. Soprattutto alle secondarie di secondo grado il docente curricolare spesso si trova da solo e non sa bene cosa fare. Ma, anche tra gli insegnanti di sostegno, quello della formazione è un problema cronico: moltissimi entrano in aula senza avere le competenze per trattare studenti con disabilità o altre difficoltà. E non bastano i corsi abbreviati introdotti da Valditara . Sono corsi di specializzazione che nascono per facilitare e velocizzare la formazione dei docenti di sostegno. Che problemi hanno? Sono stati concepiti come corsi da 40 crediti universitari, per chi accede entro questo dicembre, che possono essere sostenuti completamente online, favorendo le università telematiche e offrendo talvolta una qualità discutibile. In più, chi ha il titolo di specializzazione all’estero – perlopiù ottenuto in Albania e Romania – ha ricevuto una sorta di sanatoria dal Governo, che ha deciso di evitare i contenziosi. Insomma, in questo caos, si rincorrono cifre che non si potranno mai colmare. I docenti da formare sono troppi. Quindi, è un problema senza soluzione? La soluzione sarebbe cancellare del tutto i docenti di sostegno e fare in modo che tutti gli insegnanti siano corresponsabili della formazione di tutti gli studenti. L ’80% dei docenti di sostegno, in questo modo, diventerebbero curricolari a tutti gli effetti, arricchendo l’offerta formativa, e il restante 20% diventerebbero consulenti e tutor itineranti dei colleghi. Come si forma tutto il corpo docente all’inclusione, se non si riesce a formare solo i docenti di sostegno? Si può lavorare molto tramite il co-teaching: usare cioè le competenze, che già ci sono, di docenti ben preparati per insegnare sul campo ai loro colleghi come lavorare con studenti con disabilità o bisogni educativi speciali. Questo modello migliorerebbe anche la continuità didattica, che oggi per il sostegno è in crisi. Al nord, dove le università specializzano pochissime persone, ci sono un sacco di cattedre scoperte. Al sud è il contrario. La conseguenza è che i docenti del Mezzogiorno si spostano a nord e poi, appena possono, tornano al sud. Abolendo questo sistema, ridurremmo anche questi spostamenti e, di conseguenza, la discontinuità didattica. La proposta di legge della Lega, però, prevede l’invarianza finanziaria. Si può riformare il sostegno a costo zero? No, anche solo dei corsi universitari per formare i docenti alle università costano molto. Senza soldi non si fa niente a scuola.

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E se del sostegno si occupassero tutti i docenti?

Andrea Ceredani