L’infanzia tra le bombe: il viaggio di Mario nella guerra per la libertà

La Pieve di San Giorgio a Brancoli è una piccola chiesetta sulle colline di Lucca. Si affaccia sulla valle del fiume Serchio, tra monti grigi e paesini sperduti. Nel seminterrato della chiesa, ormai da qualche anno, è allestito un piccolo museo dedicato alla liberazione della Piana di Lucca, avvenuta tra l’estate e l’autunno del 1944. Gran parte delle foto e dei cimeli conservati nelle teche provengono dalla casa di Mario Ghilardi, ex farmacista che ha trascorso a Brancoli la sua infanzia da sfollato. Lo incontriamo nella minuscola sala conferenze del museo, dove ci accoglie con il sorriso e l’energia di un ventenne. “Questi posti – racconta – hanno un grande valore affettivo per me. Durante la guerra io e la mia famiglia ci siamo trasferiti qui. Lucca era diventata pericolosa, la bombardavano, e la montagna sembrò a mio padre l’opzione migliore per proteggerci. Ma le cose peggiorarono presto anche qui. Dopo l’armistizio del ‘43 i tedeschi esacerbarono la loro attività di repressione e controllo della popolazione, in più avevano iniziato a fortificare la Linea Gotica, che era quasi alle nostre spalle. Così mio padre decise di lasciare San Giusto, dove eravamo ospitati da una nostra parente, e raggiungere La Cappella, un altro villaggio di montagna, secondo lui più sicuro. Iniziammo il nostro viaggio verso la salvezza, mentre per i tedeschi iniziava l’ultima fase della guerra, che li avrebbe portati alla ritirata. Non dimenticherò mai quei giorni”. la salvezza in un abbraccio Nonostante Mario fosse ancora un bambino, quando ricorda l’estate del 1944 i suoi occhi lampeggiano ancora di paura. “Iniziammo il nostro pellegrinaggio – ricorda – in una notte fredda e piovosa. Tutto ciò che avevamo era un vecchio asino, sul quale io e mia madre eravamo abbarbicati, cercando di coprirci dal vento come potevamo. Mio padre avanzava a piedi e ci faceva strada nel buio. Dovevamo percorrere circa trenta chilometri per arrivare a La Cappella”. Nel raccontare quei giorni di viaggio il signor Ghilardi, che allora era il piccolo Marietto, si commuove pensando a suo padre. “Era un uomo forte e avrebbe fatto di tutto per salvarci dalla guerra. Lavorava in ospedale a Lucca e ogni giorno, quando eravamo sfollati, attraversava in bicicletta la valle per recuperare del cibo, che portava a noi e che offriva alle altre famiglie e alle truppe di crucchi. Con alcuni di questi aveva pure fatto amicizia”. Proprio l’amicizia con quei militari tedeschi, ragazzini di vent’anni impauriti anche loro, salvò la vita a Mario e alla sua famiglia. “Dopo che avevamo camminato per una notte intera – ricorda – raggiungemmo Vinchiana. Lì c’era un posto di blocco dei tedeschi, che ci fermarono. Avevo una paura terribile, ma vidi mio padre che andò loro incontro. Gli chiesero dove andavamo e mio padre rispose che ci spostavamo a La Cappella, perché a San Giusto c’erano dei loro colleghi che non si comportavano bene. Raccontò loro che era stato quasi preso prigioniero e che aveva paura per me e per mia madre. Quei crucchi, biondissimi e con gli occhi azzurri, lo guardarono e gli dissero che allora dovevamo cambiare strada. Nella direzione dove stavamo andando c’erano dei rastrellamenti e avrebbero preso anche noi. ‘Non so che fine fareste’ disse il tedesco. Quindi ci indicarono una strada sicura e ci lasciarono passare. Nel fare questo, abbracciarono mio padre”. La famiglia di Mario si rimise in viaggio e, dopo qualche ora, giunse in località Guercio. “Qui incontrammo – racconta Ghilardi – un altro barroccio, che trasportava un uomo, una donna e una bambina. Questa famigliola doveva raggiungere Camaiore e si unì a noi per un tratto del percorso. La bambina era simpatica, mi ricordo che nelle soste giocavamo insieme. Una mattina, però, le nuvole furono squarciate da due grossi aerei, che ci mitragliarono. Mio padre riuscì a gettare me e mia madre in una fossa, ma l’altro capofamiglia non fece in tempo. Purtroppo rimase ucciso, mentre sua figlia fu gravemente ferita. Accompagnammo la bambina e la madre da un loro parente che, ci dissero, abitava lì vicino. Il giorno dopo ripartimmo e di loro non seppi più nulla”. La gioia di un bimbo che mangia la cioccolata “Se penso a quei giorni di viaggio, ammetto che il fato è stato clemente con noi” sorride, mentre i suoi occhi sono già persi nel mare dei ricordi. “Eravamo quasi arrivati a La Cappella – racconta – quando si scatenò un fortissimo temporale. Ci riparammo sotto un albero e poi continuammo a camminare. Dopo qualche ora, un aeroplano volò bassissimo sopra di noi e sganciò due bombe. Vogliate credermi o no, quegli ordigni non esplosero. Infatti, erano rimasti intrappolati nel pantano di un campo bagnato. Non ci demmo neanche il tempo di realizzare la nostra fortuna, che corremmo a metterci al riparo”. Finalmente Mario e la sua famiglia arrivarono a La Cappella, dove si stabilirono fino alla fine della guerra. “I tedeschi – racconta – liberarono la Piana di Lucca a settembre, quindi neanche un mese dopo la nostra fuga. Da lì in poi ho solo bellissimi ricordi. Vennero gli americani, che avevano ogni leccornia possibile da mangiare e mi rimpinzai di cioccolato e caramelle. Non potete capire la gioia che un bambino può avere a mangiare la cioccolata, dopo anni passati a ingurgitare patate”. Combattere per la libertà Oggi Mario torna spesso a San Giusto o a La Cappella. “Lo faccio – ammette – per ricordare a me stesso ciò che ho passato. Spesso, al caldo delle nostre case, sentiamo le notizie sulla guerra in Ucraina o in Medio Oriente e cambiamo canale. Anch’io, a volte, vorrei dimenticare le sofferenze della mia gioventù e concentrarmi solo sugli agi del presente. Ma non possiamo. Non possiamo e non dobbiamo. Solo con il ricordo collettivo riusciamo a evitare l’indifferenza. Solo con la forza del passato abbiamo la capacità di cambiare il futuro. Lo dico soprattutto ai giovani: non adagiatevi sugli allori, perché la libertà può esservi tolta da un momento all’altro. Combattete e, quando lo fate, ricordatevi di un vecchio farmacista e della sua infanzia tra le bombe”.

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