La minaccia invisibile: le mine antiuomo e la lotta per liberare le terre contaminate

Sta tutto nella caparbietà di un uomo che da quarant’anni, con il suo metal detector e un briciolo di speranza, gira le montagne del Kurdistan per individuare le mine antiuomo sul territorio. Sta tutta lì, la tragedia e la tenacia di un popolo. Questa è la storia di Usha, che ha perso entrambe le gambe saltando su una mina quando militava nell’esercito curdo e, da allora, ha dedicato la sua vita al disperato tentativo di sminare la sua terra. Ce l’ha raccontata Marco Puntin, project manager di Emergency, che di Usha ha lo stesso sguardo intelligente. “Di feriti – si confida – ne ho visti tanti, troppi. Ma di Usha mi ha colpito il coraggio. Negli anni ‘80 è stato mutilato da una mina e suo figlio e suo fratello sono morti a causa di ordigni inesplosi. Lui ha deciso che nessuno doveva più provare quel dolore e, con un metal detector di fortuna, si è messo a cercare di sminare le montagne del Kurdistan. In questo tentativo donchisciottesco è saltato su altre tre mine, perdendo ogni volta le protesi alle gambe. Ma ricominciava sempre, imperterrito e testardo”. Dalle difficoltà economiche all’emarginazione sociale: le storie delle vittime Le mine antiuomo sono un pericolo invisibile che minaccia molti territori, anche dopo la fine dei conflitti. Paul McCann, responsabile di The Halo Trust, un'organizzazione umanitaria non governativa che lavora principalmente per bonificare le terre dalle mine, ci ha spiegato che all’incirca 55 Paesi sono gravemente contaminati da ordigni inesplosi. “I più colpiti – precisa – sono Ucraina, Siria, Afghanistan e Myanmar”. Puntin, che al momento lavora nel centro di riabilitazione di Emergency a Sulaymaniyah, in Kurdistan, racconta che il 60% dei loro pazienti è vittima di mine antiuomo. “Il problema della contaminazione da ordigni inesplosi – chiarisce Puntin – ha come conseguenza una difficoltà di carattere economico. Le comunità locali dei territori colpiti da mine vivono di pastorizia e agricoltura. Ma la presenza di ordigni rende inagibili i terreni, impedendo l’accesso ai campi. Dunque, succede che le famiglie già povere prima di un conflitto, non riescano a sanare la loro condizione neanche dopo”. McCann di The Halo Trust gli fa eco: “Le mine impediscono alle comunità più marginalizzate di accedere a tutte le loro terre, aumentando così l’insicurezza alimentare. In paesi come Afghanistan, Zimbabwe e Colombia, le persone rese povere dal conflitto restano povere anche dopo la fine dei combattimenti, poiché non possono accedere ai loro terreni. Studi condotti in Cambogia e Mozambico dimostrano che il reddito familiare aumenta una volta rimosse le mine”. Oltre alla conseguente difficoltà economica, le vittime dirette o indirette di ordigni subiscono anche un’esclusione sociale. “Gli uomini – spiega Puntin – soprattutto se mutilati devono affrontare stigmi sociali difficili da sradicare, le donne, già marginalizzate in partenza, subiscono un ulteriore isolamento. Infine, i bambini devono spesso rinunciare a ricevere un’istruzione. In territori dove, per raggiungere la scuola più vicina, devi verosimilmente camminare chilometri, subire una mutilazione ti esclude in partenza”. I bambini, come precisa Paul McCann, sono le vittime più comuni delle mine: “Si espongono di più al rischio perché trascorrono spesso tempo all'aperto, pascolando greggi o raccogliendo rottami per integrare il reddito familiare. Tra i gruppi sociali più colpiti, ad esempio in Ucraina, ci sono gli agricoltori, che sono tra le principali vittime delle mine anticarro piantate nei campi mentre tentano di arare la terra con i trattori”. Ucraina e Medio Oriente: quanto territorio contaminato I recentissimi conflitti in Ucraina e in Medio Oriente hanno riacceso il dibattito sulla problematica della contaminazione dei territori da mine antiuomo. Per quanto riguarda la situazione in Ucraina, i numeri sono ancora incerti. “Nessuno conosce con esattezza – spiega Paul McCann di The Halo Trust - il numero di mine che la Russia ha piazzato nell’Ucraina orientale e meridionale, ma la loro presenza è stata una delle principali ragioni per cui l'Ucraina non è riuscita a riconquistare tutto il suo territorio occupato. Alcune stime suggeriscono che nel paese potrebbero esserci due milioni di mine. Il governo ucraino afferma che 138.000 km² del suo territorio sono stati interessati dalle ostilità e dovranno essere bonificati da mine ed esplosivi”. In Siria, dalla caduta del regime di Assad, secondo i dati di The Halo Trust, si è registrato un notevole aumento delle vittime da ordigni inesplosi, con un totale di circa 700 casi. La motivazione, spiega McCann, sono le migliaia di sfollati che, tornando nei loro villaggi, li hanno trovati contaminati. “Il momento più pericoloso per i civili – precisa MacCann - è quando i combattimenti cessano e cercano di tornare a casa. Lunghe distese di mine erano state piazzate nelle ex linee del fronte tra le forze dell’opposizione e quelle di Assad. Migliaia di villaggi abbandonati sono stati contaminati da bombe a grappolo inesplose e altri pericoli esplosivi”. Cosa fare e i futuri possibili Le operazioni di sminamento sono spesso complicate e molto dispendiose economicamente. Come spiega Paul McCann, The Halo Trust utilizza una combinazione di sminamento manuale – in cui un operatore bonifica un'area utilizzando un metal detector e scavando per identificare eventuali segnali metallici – e l’uso di macchinari pesanti blindati per rimuovere rapidamente le mine in aree adatte. Sono impiegate anche macchine telecomandate, che consentono agli operatori di rimanere al sicuro al di fuori del campo minato mentre i dispositivi meccanici tagliano fili-trappola e rimuovono la vegetazione. “Si stanno investendo – continua McCann- grandi risorse in nuove tecnologie per il rilevamento delle mine. Vengono utilizzati droni con sensori termici e LiDAR per individuare i campi minati, e sono in fase di test sistemi di intelligenza artificiale per il riconoscimento automatico degli ordigni tramite immagini aeree”. Ma per risolvere il problema in modo permanente, serve un impegno globale concreto. “È necessario – afferma Marco Puntin – far rispettare le convenzioni internazionali e fermare la produzione e l’utilizzo delle mine antiuomo. Siamo ancora molto indietro su questo, basti pensare che Paesi chiave come gli Stati Uniti, Israele o la Russia non hanno firmato il Trattato di Ottawa, adottato nel 1997 per vietare l'uso, la produzione, il trasferimento e l'immagazzinamento delle mine antiuomo. Anche il singolo cittadino, però, può fare molto, ad esempio interessandosi e finanziando le attività di sminamento proposte dalle ONG”.

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