Cosa c’è (davvero) di nuovo sul delitto di Garlasco?

Nel garbuglio di Garlasco ci sono alcuni dati che non si possono ignorare ma anzi da cui è necessario partire. Alberto Stasi è il responsabile dell’omicidio della sua fidanzata, Chiara Poggi uccisa a 26 anni tra le 9.12 e le 9.36 del 13 agosto 2007 con diversi colpi alla testa inferti con un’arma che non è mai stata trovata, né identificata. La sua responsabilità prescinde dalle indagini su Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. Questa è al momento l’unica verità giudiziaria, messa nero su bianco dalla Corte di Cassazione il 12 dicembre 2015 , quando i giudici supremi confermarono la condanna a 16 anni di reclusione per lo studente della Bocconi aprendogli le porte del carcere di Bollate. A distanza di quasi 10 anni da quella condanna definitiva, che solo una revisione del processo potrebbe cambiare, ora i pubblici ministeri di Pavia, Stefano Civardi e Valentina De Stefano, coordinati dal capo della Procura Fabio Napoleone, hanno ottenuto la riapertura delle indagini dopo che per due volte, a febbraio e poi a maggio 2024, il giudice per le indagini preliminari Gabriella Garlaschelli aveva bocciato la richiesta. Solo l’intervento della Cassazione, a settembre dello scorso anno, ordinando di motivare meglio il rifiuto, di fatto ha portato gli investigatori a fare un viaggio a ritroso nel passato remoto dell’indagine, ma su elementi discussi lungamente nel corso delle precedenti inchieste e ora oggetto di una sorta di rilettura. La Procura di Pavia infatti per la prima volta ha sostenuto la necessità di approfondire la posizione di Andrea Sempio, condividendo di fatto la posizione della difesa di Stasi che dal 2015 aveva tentato altre sei volte di far riaprire il caso appellandosi anche alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Ma nulla da fare, anche quel ricorso fu dichiarato “irricevibile”. Le tracce sulle unghie di Chiara La nuova indagine della Procura di Pavia parte dalle tracce di materiale biologico trovate sulle unghie di Chiara Poggi e che erano già state analizzate in passato cinque volte, due volte dai carabinieri del Ris di Parma e altre tre volte nel corso del processo d’appello bis che condannò Stasi a 16 anni di carcere. Alla base della riapertura dell’ indagine una consulenza tecnica affidata dalla difesa di Stasi a Ugo Ricci, specialista in genetica medica, e all’ “expert opinion” dell’ulteriore consulente Lutz Roewer, esperto a livello internazionale degli aplotipi del cromosoma ypsilon, relativa all’utilizzabilità del profilo genetico estratto dal materiale biologico rinvenuto sulle unghie di Chiara e alla sua compatibilità con il profilo genetico riconducibile all’indagato. Compatibilità verificata dalla difesa di Stasi dopo aver “rubato” da una tazzina di caffè il dna di Sempio, e verificata una seconda volta da un consulente tecnico nominato successivamente dalla Procura di Pavia. Ora si attende l’incidente probatorio, accertamento che consente di cristallizzare la prova durante le indagini preliminari, dopo il prelievo coatto del dna di Sempio, che inizialmente si era rifiutato, disposto dal gip ed eseguito presso la scientifica dei carabinieri di Milano, il cui Nucleo investigativo sta conducendo l’indagine bis. Quelle stesse tracce trovate sulle unghie della vittima però, nelle cinque precedenti analisi, avevano dato esiti sempre differenti, dunque erano state considerate scientificamente inattendibili e comunque non comparabili. Per tre volte infatti i rilievi sui margini ungueali avevano dato esito negativo, non vi erano cioè tracce di materiale genetico maschile. Spiega Marzio Capra, consulente genetico della parte civile che fece allora le indagini e che parteciperà anche alle nuove disposte dai magistrati di Pavia: “I periti di tutte le parti allora decisero di reiterare quest'analisi mettendoci un maggior quantitativo di dna così operando su alcuni margini ungueali - in particolare su tre - si ottenne un qualche cosa che non era bello né chiaro, era parzialmente misto come spesso accade quando stai sforzando le analisi, quando le stai tirando al limite. A quel punto venne fatta una terza analisi di conferma e purtroppo questi dati non furono assolutamente confermati, l’esito fu nuovamente diverso sia dal primo che dal secondo. In un caso di questo tipo scegliere il risultato migliore per fare una comparazione non è da scienziato, prendere un risultato a discapito di altri non funziona”. Il punto è che quei 9 margini ungueali di Chiara repertati dopo l’omicidio oggi non ci sono più, sono andati distrutti, dunque le nuove analisi e le nuove comparazioni sono state in realtà fatte in base a una rilettura, da parte di altri consulenti, di quegli stessi dati ottenuti allora. Ora secondo i nuovi consulenti della difesa di Stasi e della Procura quelle tracce di dna sarebbero riconducibili a due diversi dna maschili, uno dei quali sarebbe compatibile con quello di Sempio. Andrea Sempio E’ la terza volta che Andrea Sempio entra nell’indagine per l’omicidio di Chiara Poggi. La prima volta accadde nel dicembre 2016 dopo un esposto della madre di Stasi alla luce di quel dna trovato sulle unghie di Chiara e comparato “furtivamente” con quello del ragazzo. Dopo tre mesi la sua posizione però venne archiviata dalla Procura di Pavia. Oltre a non avere un movente, Andrea Sempio aveva raccontato di essersi recato la mattina dell’omicidio a Vigevano per acquistare un libro. A conferma dei suoi spostamenti aveva presentato nel 2008, un anno dopo il delitto, uno scontrino di un parcheggio che però non riportava la targa dell’auto. Il giudice che archiviò la sua posizione, su richiesta della Procura, nel provvedimento scrisse: “Tracce di Dna di Sempio ben potevano posizionarsi sulle unghie di Chiara Poggi in via mediata per il fatto che entrambi usavano un computer fisso in casa Poggi che il fratello di Chiara e i suoi amici utilizzavano spesso per eseguire videogiochi comandati da tastiera". Secondo i magistrati di allora mancava il movente, le intercettazioni dimostrarono la "totale estraneità" al delitto e non era anomalo che Sempio avesse conservato lo scontrino di un parcheggio a Vigevano per un anno. A conservarlo fu sua madre per scrupolo, visto quanto era accaduto quel 13 agosto, raccontò agli investigatori il giovane. Nel 2020 poi i carabinieri di Milano - chiamati a far luce su minacce ricevute dall’avvocata di Stasi - indagano sul delitto e in un’informativa dedicano un capitolo al presunto coinvolgimento di Sempio. Anche allora Pavia archivia con una dettagliata motivazione. Fino alla riapertura dell’indagine a marzo 2025 quando con una sorta di inversione a U gli attuali pm in forza alla Procura di Pavia tornano ad accusare Sempio. La Corte di Cassazione che nel 2015 condannò a 16 anni Stasi era stata granitica però nelle sue motivazioni: l'assassino indossava il numero 42 ; una testimone parlò di una bici nera da donna parcheggiata davanti alla villetta di via Pascoli la mattina del delitto e anche la presenza delle tracce di dna, per i giudici di allora inutilizzabili, lo scagionavano. Il dna e gli altri reperti Nell’ambito della nuova indagine i magistrati pavesi chiedono ora a un giudice terzo un maxi incidente probatorio non solo sulla comparazione del dna di Sempio ma anche su quei “campioni biologici e reperti della vittima non oggetto della distruzione dei corpi di reato i quali nel corso dei procedimenti penali sull'omicidio di Chiara Poggi o non sono mai stati sottoposti ad analisi genetica, o hanno fornito un esito dubbio o inconclusivo". La Procura ha chiesto al gip anche l’acquisizione dei "para-adesivi delle impronte rinvenute sulla scena del crimine e sugli oggetti analizzati presso i laboratori del Ris di Parma allo scopo di cercare materiale genetico". Tutti accertamenti che la parte civile della famiglia Poggi, in questo procedimento costituitasi parte offesa, aveva già chiesto nel 2011 e ai quali in quella circostanza si era opposta la difesa di Stasi. L’allora corte d’Assise d’Appello di Milano, che poi assolse Stasi confermado l’esito del processo di primo grado celebrato con rito abbreviato, respinse quella richiesta parlando di “assenza di evidenze significative ai fini delle indagini”. Diciotto anni dopo l'omicidio, quando molti reperti allora disponibili ormai non ci sono più, la Procura di Pavia ritiene invece questi accertamenti fondamentali per la nuova indagine. I cinque processi ad Alberto Stasi Alberto Stasi intanto tra il 2009 e il 2015 ha affrontato cinque gradi di giudizio, sempre come unico imputato per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi. Per due volte fu assolto nel procedimento con rito abbreviato, ma la Cassazione non chiuse i giochi e rinviò a una nuova Corte d’Assise d’Appello di Milano, per un processo d’appello bis, chiedendo una rilettura di tutti gli indizi. La quinta sentenza si concluse con la condanna definitiva a 16 anni di carcere. Nelle motivazioni la Suprema Corte scrisse: "Ciascun indizio risulta integrarsi perfettamente con gli altri come tessere di un mosaico che hanno contribuito a creare un quadro d’insieme convergente verso la colpevolezza di Alberto Stasi oltre ogni ragionevole dubbio". A portare alla condanna di Stasi furono cinque prove, a volerle sintetizzare: le scarpe, le impronte, l’alibi, i pedali della bicicletta e le bugie. Le scarpe che indossava il 13 agosto 2007, dopo aver rinvenuto il cadavere della fidanzata in una pozza di sangue, erano pulite: non poteva non essersi sporcato calpestando il pavimento insanguinato della villetta di via Pascoli. Per i giudici, convinti che non rientrò mai in quella casa, quella era la prova che il suo era il racconto dell’omicidio, non del rinvenimento del cadavere. Contro di lui poi i pedali 'invertiti' tra le due bici di casa, su uno dei quale furono trovate tracce di dna di Chiara. Poi l'assenza di alibi. La vittima quel 13 agosto disattivò l'allarme di casa alle 9.12, Alberto iniziò a lavorare alla tesi al pc solo dalle 9.36, un tempo che fu ritenuto sufficiente per compiere l’omicidio e tornare a casa.

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