Come sta la ricerca in Italia?

Mentre si celebra la Giornata nazionale delle Università, i ricercatori affollano le aule in protesta e i docenti scendono in piazza a fare lezione. In oltre venti città d’Italia, decine di dottori e assegnisti lamentano che il precariato costringe nove dottorandi su dieci ad abbandonare la carriera accademica . E accusano il Governo di aver tagliato i fondi alla ricerca. “Le cifre sono molto chiare – commenta Davide Clementi, presidente di Adi – Da dicembre 2024 sono stati ‘espulsi’ dal sistema universitario circa 1.500 ricercatori a tempo determinato, che ora sono in disoccupazione”. Lo scontro vede due fazioni ben distinte: da un lato gli Stati generali dell’Università, organizzati alla Camera dai rettori per “dare vita a un momento di confronto fra gli atenei e i loro principali stakeholder ”. Dall’altro gli “Stati di agitazione”, ovvero le “assemblee precarie” degli atenei, riunite da Nord a Sud con associazioni studentesche, sindacati e società scientifiche. Sono loro ad aver indetto la mobilitazione, coinvolgendo anche molti docenti non più precari: a Pisa, in tre giorni di lezioni in piazza, decine di professori hanno portato in strada studenti e seminari per “mettere i saperi a disposizione della collettività”. “Vogliamo comunicare – si legge nella nota delle associazioni studentesche pisane – che la didattica e i servizi che facciamo e riceviamo sono sempre più sfruttati, precari e mal pagati”. Per cosa protestano i ricercatori Attorno ai soldi ruotano tutti i perché della protesta di dottorandi e assegnisti. Finora, le associazioni si erano mosse contro il cosiddetto disegno di legge Bernini , che riorganizzava l’ingresso nel mondo accademico tramite l’istituzione di cinque nuove figure professionali. La ministra dell’Università e della Ricerca ha assicurato ora il “congelamento” della legge in Commissione ma, secondo Adi, non ha fatto abbastanza per stabilizzare le condizioni dei ricercatori: “Il sistema universitario è composto al 40% da lavoratori precari – sostiene il presidente di Adi – Ci sono 20.000 assegnisti di ricerca che mandano avanti gli atenei e hanno bisogno di un reclutamento”. A guardare i numeri, la spesa italiana in ricerca è tra le più basse in Europa. Secondo gli ultimi dati messi a disposizione da Eurostat, nel 2023 Roma ha speso l’1,3% del Pil contro il 3,1% tedesco e il 2,2% francese. Cifre, per l’Italia, pressoché invariate rispetto a dieci anni fa. Secondo la ministra Bernini, però, sono in arrivo nuove iniezioni di denaro pubblico: “Il Fondo di finanziamento ordinario che alimenta l’Università – ha assicurato al Question time alla Camera del 19 marzo – è stato aumentato di quest’anno di oltre 336 milioni, non esistono tagli all’Università”. Ma i dottorandi contestano che “siano stati dati meno soldi nel 2024” e che “il Fondo è stato tagliato dopo 13 anni di aumenti”. In realtà, l’Ffo avrà davvero oltre 300 milioni di euro a disposizione in più nel 2025, ma si tratta di un finanziamento già previsto dalla legge di bilancio 2022 per lo scorso anno, e mai finora accordato dall’esecutivo Meloni. Prima, almeno, del recente annuncio di Bernini. Al di là dei numeri, però, Adi contesta che “il Fondo è comunque largamente insufficiente” e che, senza nuovi finanziamenti, migliaia di ricercatori “si possono trovare disoccupati da un momento all’altro” e “non possono neppure pensare di accendere un mutuo”. Il risultato – contestano negli atenei – è che “l’accesso all’istruzione superiore è sempre più elitario e dipendente dalle condizioni degli studenti”. Tornano a Pisa le lezioni in piazza La carenza di fondi costringe molte Università a tagli o rincari. “A Pisa – si legge nel comunicato del Movimento studentesco in occasione delle proteste – questo si è tradotto immediatamente nel blocco delle assunzioni, nei tagli ai servizi svolti dal personale esternalizzato e al numero di borse di dottorato”. Non solo: secondo il Movimento, sarà inevitabile nel capoluogo universitario toscano anche un “ulteriore aumento delle tasse, rendendo l’Università pubblica sempre più inaccessibile”. Anche per questo, per tre giorni è stata piazza dei Cavalieri, dove ha sede anche la Scuola Normale, a ospitare le lezioni di matematica, fisica, economia e di molte altre discipline insegnate dai professori in protesta. “Le lezioni in piazza sono state un successo – assicura il dottorando Andrea Gargano – Ha partecipato, incuriosita, anche la cittadinanza scattando foto e ponendo domande. Intendiamo ripetere quest’iniziativa per sensibilizzare attorno a un’università che va assolutamente rifinanziata”. Nelle stesse ore della protesta, però, la ministra Bernini ha risposto incrementando i fondi pubblici per le borse di studio, aumentando gli importi minimi degli assegni e i limiti massimi di Isee per l’accesso. E dichiarandosi, nell’occasione, “al fianco degli studenti”. Eppure, le rassicurazioni non sono bastate ai giovani ricercatori: “La sua riforma – conclude Gargano – rischia di lasciare a casa migliaia di persone precarie che quotidianamente contribuiscono alla creazione e alla diffusione del sapere nelle nostre università”.

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