"Mica Macho", viaggio nei gruppi di autocoscienza maschile contro la mascolinità tossica

Ripensare il modello del maschio alfa, decostruendolo. A partire proprio da loro, uomini disposti a mettersi in discussione e a confrontarsi con altri uomini su temi urgenti e sensibili, come la violenza sulle donne, il consenso, la paternità. Succede all'interno dei gruppi di autocoscienza maschile organizzati da Mica Macho, incontri rivolti a uomini maggiorenni per ritrovarsi in un luogo sicuro e sgombro dai giudizi. La stragrande maggioranza dei maschi è cresciuta con l'insegnamento che la fragilità sia un disvalore, e che le emozioni vadano tenute chiuse a chiave. “Sono venuto a conoscenza di questi incontri tramite la mia compagna. Mi hanno incuriosito perché credo che sia di noi uomini la responsabilità di crearci un nuovo modello maschile”, racconta a Sky TG24 Insider Andrea, 26enne di Viterbo che preso parte più volte agli incontri. “Quello che riscontro spesso negli uomini della mia età è una critica dei movimenti femministi, perché sentono che non si occupano dei loro problemi, si sentono esclusi”. Per questo i gruppi di autocoscienza rappresentano "un nuovo inizio di importanza storica". L'antropologo e il mediatore: i ruoli di chi coordina i gruppi I gruppi di autocoscienza si svolgono online – per garantire la massima accessibilità a tutti, senza limiti geografici - e sono rivolti a uomini maggiorenni . Vengono coordinati da Francesco Ferreri, antropologo culturale e consulente sessuale, e Gabriele Guadagna, content creator del progetto e mediatore dei gruppi. Il primo rappresenta l’anima “più tecnica”, il secondo quella più “emotiva”, raccontano. “Quello che ci ha spinto è la volontà di ripensare il maschile. E questa è la necessità che porta nei nostri gruppi la maggior parte dei partecipanti”. Gabriele spiega di aver iniziato ad avvicinarsi al progetto come semplice utente che voleva interrogarsi su questioni di genere, prima di crescere all’interno di Mica Macho. E dopo aver moderato decine di gruppi ha deciso di iscriversi ad Antropologia, per studiare il fenomeno. “Il mio è un ruolo da mediatore: aiuto i partecipanti a rompere il ghiaccio, mostro i miei fianchi vulnerabili iniziando a parlare per primo. E piano piano anche le altre persone nella stanza iniziano a sentirsi a loro agio e ad aprirsi. Le mani si alzano, e io modero il dibattito”. Quando tutti hanno condiviso i loro pensieri ed esperienze sul tema dell’incontro - che il 50% delle volte è scelto dai coordinatori dei gruppi, l’altro 50% selezionato dalla community online tramite sondaggi - interviene Francesco, “che offre il suo punto di vista accademico e antropologico. E innesca spesso nuovi spunti e idee”. Francesco fa parte del progetto dal primo giorno: “Il mio lavoro è sempre stato antropologico, con la consapevolezza che non ci sono basi tecniche dietro il progetto, ma la necessità di capire, indagare, partendo dalle storie delle persone”. Insomma, uno spazio in cui non si hanno risposte, ma si pongono domande. I due coordinatori raccontano sorridendo che quando terminano gli incontri, che si tengono due volte al mese dalle 21.30 alle 23.30, tutti i partecipanti, loro compresi, sono “sfiniti”: “La pratica dell’autocoscienza di per sé è molto stancante, per gli uomini è percepita come ancora più faticosa”. L'aumento della partecipazione dopo il caso Cecchettin Uno spartiacque nel dibattito collettivo maschile è stato il femminicidio di Giulia Cecchettin nel novembre 2023: un caso che ha acceso discussioni, portato migliaia di uomini nelle piazze, e generato domande sui ruoli di genere che sembravano sopite. Una sorta di risveglio culturale che ha impattato anche sui gruppi di autocoscienza, spiegano i coordinatori. "Quell'anno il dibattito è stato accesissimo: i dati che abbiamo raccolto con i nostri eventi ci dicono che da novembre 2023 la partecipazione maschile è aumentata moltissimo. Il nostro ultimo talk ha contato il 40% di uomini: proporzioni così alte non si erano mai registrate prima del femminicidio Cecchettin". Ma resta un nodo importante ancora da sciogliere: "Oggi sempre più uomini partecipano, ma lo fanno quando gli viene chiesta una responsabilizzazione da parte di qualcun altro. Per esempio dopo casi particolarmente mediatici di violenza di genere. 'Le donne muoiono, quindi fate qualcosa', si sentono dire. Non siamo però ancora arrivati al momento in cui la volontà di lavorare su di sé parte dall'uomo a prescindere dagli eventi", dice Francesco. Anche Gabriele è soddisfatto della presa di coscienza collettiva, perché oggi gli uomini sono coinvolti nel dibattito "come mai prima", ma d'altra parte, ammette, "è stato brutto renderci conto che si dovesse consumare l'ennesimo brutale femminicidio per spingerci a parlarne". Portare l'autocoscienza fuori dall'autocoscienza Il cambio di passo però è dimostrato anche da piccole ma significative avvisaglie. Molto spesso negli anni scorsi, ricordano Francesco e Gabriele, erano le donne - amiche, mogli, compagne o sorelle - a spingere molti dei partecipanti a rivolgersi a loro. "Le cose adesso stanno un po’ cambiando perché sono invece sempre più spesso ex partecipanti a consigliare ad altri uomini di fare autocoscienza. Quindi c’è stata un’evoluzione". E l'obiettivo futuro di Mica Macho è espandersi, uscendo fuori dalle loro "bolle" di persone emotivamente e culturalmente consapevoli. Termini come “autocoscienza” “percorso di decostruzione, di crescita maschile” stanno piano piano entrando nella nostra cultura, nota Gabriele. "E ogni anno sempre più uomini ci contattano perché vogliono organizzare a loro volta webinar, o incontri nei bar. Una pratica che esiste e prende spazio. L’idea adesso è portare l'autocoscienza nei locali o nei campi da calcetto". Per creare spazi sempre più familiari e informali. L'esperienza di Andrea: "Mostrare fragilità è coraggio" Il partecipante "tipo" dei gruppi di autocoscienza ha un'età media tra i 25 e i 35 anni e un alto grado di istruzione. Mentre l'orientamento sessuale ha un'incidenza variabile. Uno di loro è Andrea, 26 anni: "Credo che noi come maschi viviamo una grande contraddizione. Ci lamentiamo del fatto che dei nostri problemi non ci si occupa ma aspettiamo sempre che sia qualcun altro - di solito non uomini - a farlo". Andrea si interroga da tempo sulle tematiche legate al genere: "Spesso mi sono ritrovato a pensare a come possiamo creare un modello diverso da quello che ci viene imposto attraverso i ruoli che ci sono stati assegnati fin da piccoli". Perché alla radice c'è appunto il machismo introiettato, quello che non concede agli uomini di mostrarsi vulnerabili. "Siamo stati educati a essere emotivamente omertosi, quindi è molto difficile per noi mostrarci fragili". Per questo, spiega Andrea, per lui i gruppi di autocoscienza hanno rappresentato un punto di partenza per un nuovo maschile. Perché contengono normalità, ricreando spazi che al mondo maschile mancano: "Abbiamo bisogno di incontri informali e personali, dove raccontare esperienze, sfogarci, e allenarci a parlare delle nostre emozioni come non ci viene insegnato". Secondo Andrea stiamo osservando una spinta collettiva e positiva, ma c'è ancora una parte di maschile che si sente attaccata dai femminismi. "Non tutti gli uomini", è la frase con cui si difendono molti maschi, colpiti dall'accusa di essere tacciati di avere una responsabilità nei casi di violenza di genere e non solo. "Invece è colpa di tutti gli uomini, ma non perché individualmente siamo tutti colpevoli", sottolinea. "E anziché difenderci, dovremmo chiederci come possiamo ripulire la nostra reputazione. In fondo la fragilità non è mettersi a piangere, ma ignorare i nostri sentimenti e lasciare che marciscano dentro di noi. Quello non è coraggio: coraggio non è fingere di non avere paura, ma riconoscerla".

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