A Palermo si coltiva la città per ricucire i quartieri difficili

I bambini non nascono sotto i cavoli, ma possono rinascere sotto gli ortaggi, così come gli adulti e, perché no, i quartieri. Questa è la storia di Orto Capovolto, una realtà che a Palermo si occupa di rigenerazione urbana. “Abbiamo scelto l'agricoltura urbana per promuovere l'idea di una città commestibile e come filtro con cui vedere Palermo”. Palermo, la città tutta porto, potrebbe diventare tutta orto e combattere così l’urbanizzazione selvaggia. Le parole di Angelica Agnello, cofondatrice di Orto Capovolto ripercorrono le difficoltà di cambiare parte dei quartieri e in questo casi si parla di Ballarò e dello Zen. “Ogni volta è una corsa a ostacoli. Da un lato ci sono le difficoltà burocratiche e le difficoltà che la procedura e le attese, ci impongono”, continua Agnello. Cambiamento e conflitto “E ogni cambiamento provoca un conflitto” afferma Agnello, spazzando via quella visione anche un po’ bucolica che davanti a un giardino in fiore tutti siano felici e sorridenti. “Il nostro approccio è quello del coinvolgimento e della coprogettazione perché sappiamo che i nostri interventi sugli spazi devono trovare condivisione tra coloro che saranno poi i fruitori e, spesso, i manutentori dell’area che trasformiamo” continua. Se per fare un albero ci vuole un seme, per fare un giardino ci vogliono le persone, adulti e bambini che lo vogliano accogliere. Il dialogo con Orto Capovolto diventa quindi una discussione a tre con le realtà di Ballarò e dello Zen che hanno provato ad agire negli spazi da bonificare. Così dove Orto Capovolto pensava di costruire un nuovo giardino, allo Zen “siamo finiti a realizzare un un percorso pedonale per portare i bambini a scuola perché ci siamo accorti dai tavoli che le mamme lamentavano un problema nella viabilità, proprio perché mancava il marciapiede nell'asse più frequentato dai bambini per andare a scuola” ha aggiunto Fabrizio Arena, presidente Laboratorio Zen Insieme. “Poi anche lì abbiamo realizzato un piccolo giardino, un'area di sosta con le piante aromatiche e nei pressi della scuola”, ha integrato Agnello. Secondo altri programmi “A Ballarò invece è successa una cosa anche lì un poco sui generis. Non si trattava di creare un’area verde, ma l’esigenza emersa dal quartiere era quella di trasformare un percorso, una strada molto bella che fra l'altro arriva da due delle principali arterie della città. In questo percorso trovano posto la maggior parte delle realtà no profit che lavorano nel quartiere. Una delle caratteristiche principali, infatti è che intorno al mercato di Ballarò hanno sede e fanno attività la maggior parte delle realtà no profit di quella zona. Ma proprio lungo questo asse i turisti e le persone istintivamente non andavano, proseguivano più avanti e facevano un giro diverso. E uno dei motivi era perché la strada era buia. Essendo buia e non essendo percorsa, le persone non erano invitati a entrare e a fare quel percorso, perdendosi. Da lì è nata l'idea di una strada parlante e abbiamo realizzato un percorso di 15 luminarie artistiche che da una parte all'altra avevano sia un disegno ognuna diversa e una frase e abbinata ai valori che portano avanti queste associazioni e le realtà no profit. E queste frasi e i disegni sono state realizzate tutte durante i laboratori di co-progettazione poi sono state prodotte all'interno di una falegnameria sociale” ha aggiunto Claudio Arestivo, Presidente Per Esempio Onlus. Quando le attese si prolungano Ma nello spazio degli scontri, non ci sono favole e pochi finali lieti. A Ballarò, prosegue Arestivo, c’è ancora una piazza “fantasma” che aspetta il suo riconoscimento. “Qui c'è una piazzetta che si chiama piazza Mediterraneo. Una piazza che è stata oggetto di intervento da parte delle associazioni del quartiere qualcosa come 15 anni. Era una ex grande discarica abusiva, è stata ripristinata con interventi come diceva Angelica di guerriglia gardening ma che da quel giorno attende di entrare nella toponomastica. Insomma, la piazza è ancora in attesa di diventare una piazza”. E come diceva Arestivo, queste trasformazioni avvengono con azioni organizzate, ma spesso ci si aggrega anche casualmente. Fabrizio Arena conferma: “Allo Zen siccome noi non facciamo solo attività con i bambini, ma spesso, quando sono in autocostruzione, sono attività rivolte agli adulti. Il punto è che non possiamo restare isolati e dobbiamo riuscire ad abbinare un'attività alternativa per i bambini che magari non possono usare alcune attrezzature. Perché in realtà se tu ti metti al giardino dello Zen a costruire qualcosa arrivano trenta bambini che vogliono prendere parte all’attività, devi riuscire a fargli fare qualcosa che sia partecipativa rispetto a quello che stai facendo, però senza fargli usare per esempio alcuni strumenti. Perché allo Zen i bambini sono per strada, bambini piccoli che si aggregano a decine”. Ma attenzione, anche qui non si tratta di un automatico lieto fine. “Lo confermo, se vuoi il cambiamento, devi imparare ad affrontare il conflitto. Quando costruisci una panchina, i bambini saranno felici e i residenti avranno qualche perplessità perché la notte possono diventare bivacco per spacciatori o senza fissa dimora. Ecco perché abbiamo dovuto creare delle panchine a rotelle che si possano portare fuori la mattina e ritirare la sera” ha concluso Angelica Agnello. Città comprensibili e commestibili Ma se non è una favola, una morale c’è e si riassume nell’esempio. “Il nostro pezzettino è vedere una città che può essere coltivata e che quindi in una piazza se invece di esserci una pianta ornamentale c'è una pianta di pomodoro, sicuramente ci sarà qualcuno che raccoglie quel pomodoro e poi penserà due volte prima di buttarci la cicca dentro o di rompere la pianta stessa”. Questo è Orto Capovolto.

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