Le Vele di Scampia e la sfida della riqualificazione

Con lo sgombero della vela rossa, per la prima volta dopo 45 anni le vele di Scampia sono vuote. E’ stato un processo lungo e doloroso, che è passato per la tragedia del 22 Luglio scorso, con il crollo del ballatoio nella vela celeste che ha provocato la morte di 3 persone e 12 feriti. Da tempo ormai le vele erano molto lontane dal motivo per il quale erano state costruite, e versavano in un totale degrado sociale e urbanistico. L’inchiesta aperta dalla Procura di Napoli dopo il crollo sta facendo luce sulla lunga e complessa storia di abbandono, carenza di manutenzione e omissioni che avrebbe contribuito a ciò che si è verificato. In questo contesto, l’autorità giudiziaria ha ordinato lo sgombero delle strutture, ormai fatiscenti. Come nascono le “vele di Scampia” Prima delle vele, Scampia era solo un’area rurale. Il complesso nasce negli anni Sessanta e Settanta, per effetto della legge 167, nata proprio per risolvere l’emergenza abitativa molto sentita nel Dopoguerra, e decongestionare al tempo stesso il centro della città. Il nome deriva dalla forma degli edifici che ricordano le vele di una nave. Il progetto era dell’architetto Franz Di Salvo, sette edifici – ma sarebbero dovuti essere otto - su un’area di 115 ettari. Un enorme agglomerato urbano: l’idea era quella della città-edificio, nel quale le attività sociali e quelle private erano concentrate in quei luoghi, e aderiva a una visione diversa della società, che abbandonasse l’idea dei condomini chiusi per favorire le attività sociali. Le strutture furono progettate dall’ingegnere Riccardo Morandi, già noto all’epoca per aver ideato il viadotto Polcevera. Ma la realizzazione fu molto diversa dall’idea, sia per cambiamenti in corso d’opera, come una riduzione degli spazi comuni, sia per esigenze di contenimento dei costi. Mentre le vele erano ancora in costruzione, iniziarono già le assegnazioni da parte del Comune di Napoli, in più il terremoto dell’Ottanta in Irpinia generò molte occupazioni e anche la creazione di case abusive all’interno dei complessi. Tutte le opere che avrebbero dovuto creare le attività sociali non furono – quindi – più realizzate e questo ha poi pesato molto sul risultato finale e sulla situazione che si è generata negli anni successivi. Il degrado nel corso degli anni e la lotta del Comitato vele Scampia Negli anni, quella zona è diventata un ricettacolo di fragilità sociali, economiche, oppresse dalla criminalità organizzata che, oltre a creare la più grande piazza di spaccio d’Europa in quella zona, poi in gran parte smantellata, aveva anche interessi nel controllare l’occupazione degli immobili e sfruttava in vari modi la povertà delle persone, che erano anche ostaggio di una cattiva politica, che le ha utilizzate come serbatoio elettorale promettendo e disattendendo le aspettative. Ma a Scampia non c’è stato solo questo: l’impegno di molte associazioni e gruppi locali ha dato vita ad attività sociali e progetti di recupero, che hanno cercato un riscatto per l’intero quartiere, a partire dalla sua area più degradata, quella delle vele. Tra queste realtà, in funzione del diritto alla casa, un posto particolare è occupato dal Comitato vele Scampia, nato nel 2008 per difendere e valorizzare il quartiere e rivendicare il diritto alla casa. Il suo leader, per tanti anni, è stato Vittorio Passeggio, un cittadino di Scampia che è stato in prima linea nella lotta per la casa: il comitato ha dato una spinta dal basso notevole, nel processo che oggi ha portato al sogno del nuovo quartiere. Il lungo percorso per la riqualificazione Negli anni Novanta, durante il mandato di Antonio Bassolino, fu approvato un primo piano di recupero del quartiere, con interventi che miravano alla ristrutturazione degli edifici. In questo contesto, fu decisa nel 1997 la demolizione della prima vela, seguita da una seconda nel 2000 e una terza nel 2003. Ma poi tutto si fermò. Con i due mandati di Luigi de Magistris, il progetto ripartì e si fece più concreto: a Marzo del 2017 annunciò il lancio del progetto “Restart Scampia”, un’operazione per abbattere le vele A, C e D – la verde, la gialla e la rossa – e per riqualificare la B , rendendola sede degli uffici della Città metropolitana. Il 20 Febbraio del 2020 iniziò ad andare giù la vela verde. Il piano di riqualificazione non prevede solo l’abbattimento delle strutture ma anche la creazione di nuovi spazi e la rigenerazione dell’intero quartiere, con la costruzione di 433 alloggi popolari nei quali far vivere le persone delle vele. E in quegli anni è iniziata anche la costruzione dei primi nuovi alloggi. Con il sindaco Gaetano Manfredi, il piano viene ripreso e ampliato, integrando il finanziamento del progetto, che oggi dispone di 159milioni di euro principalmente da fondi del Pnrr, Pon Metro e Periferie. L’intervento si propone di ridisegnare il volto di Scampia con palazzi a misura d’uomo e di comunità, spazi destinati all’agricoltura urbana, un parco pubblico di quartiere, una fattoria con finalità ludiche e didattiche, un mercato di prossimità, un complesso scolastico, un centro sociale e culturale. L’obiettivo è una nuova Scampia dal punto di vista urbanistico ma soprattutto sociale. Quella della rigenerazione urbana è una sfida molto grande che da anni attende una realizzazione. Gli abitanti sarebbero dovuti uscire dalle abitazioni contestualmente agli interventi di abbattimento delle vele e ricostruzione, ma così non è stato. Il progetto ha dovuto subire una variazione dopo la tragedia del 22 Luglio scorso, quando un ballatoio della vela celeste è crollato uccidendo tre persone e ferendone altre 12. Lo sgombero delle vele La vicenda è controversa e fa emergere, negli ultimi mesi, diversi allarmi sullo stato di fatiscenza delle vele che – negli anni – sarebbero rimasti inascoltati. Con l’intervento della magistratura, viene deciso che le vele non sono più abitabili e che i cittadini devono uscire. Si tratta di una popolazione di oltre 2mila persone. Il Comune di Napoli, anche con l’aiuto di fondi del governo, ha stanziato un contributo di autonoma sistemazione per gli abitanti fino al completamento dei nuovi alloggi dove saranno sistemati, ma è emerso il grave problema della carenza di case in affitto e della resistenza di molti proprietari ad affittare ai cittadini di Scampia. Ad ogni modo, nonostante i molti problemi e le tante fragilità sociali, sono usciti tutti gli abitanti. Ora la sfida aperta sono i tempi dei cantieri: il Comune ha preso l’impegno di assegnare gli alloggi tra metà del 2026 e il 2027. Mancano, a detta del sindaco Manfredi, circa 30 milioni per completare tutti gli interventi di riqualificazione, un progetto ambizioso che, se finalmente vedrà la luce, porrà le basi per una nuova Scampia.

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