Dati sull'aborto: un diritto ostacolato dalla mancanza di trasparenza

“Useresti una mappa con gli indirizzi sbagliati, non aggiornati, per andare a un appuntamento? si chiede la filosofa e saggista, Chiara Lalli. Probabilmente no. “Allora perché le donne devono usare dati vecchi, imprecisi e non accessibili, per poter esercitare il diritto di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza?” Lalli, insieme a Sonia Montegiove, analista informatica, è autrice dell’inchiesta Mai Dati , che fa luce sullo stato dell'accesso all'IVG. Con il sostegno dell’associazione Luca Coscioni anche quest’anno sono tornate a indagare lo stato di applicazione della legge 194 provando a mappare l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza in tutta Italia. Tra i dati disponibili ogni anno dovrebbe esserci la relazione del Ministero della Salute, che nel 2024 è arrivata con un ritardo mai raggiunto prima: è stata infatti pubblicata il 5 dicembre, ma sarebbe febbraio, in realtà, il mese in cui la legge dice che questi dati devono essere comunicati pubblicamente ai cittadini e alle cittadine italiane. Il ritardo però non è una peculiarità di questo governo, tanto che, sottolineano Lalli e Montegiove, quello che manca, da sempre, è un vero e proprio processo omogeneo e ben definito di raccolta e pubblicazione dei dati in tutta Italia. “L’inchiesta è nata per fare luce sulla mancanza di trasparenza nei dati relativi all’applicazione della legge 194. Ci siamo rese conto che mancano dati essenziali: non sappiamo nemmeno quali ospedali eroghino effettivamente il servizio di IVG, quali siano le percentuali di obiettori o se certi metodi, come quello farmacologico, siano disponibili”, rispondono Lalli e Montegiove, e “la mancanza di accesso a dati completi e aggiornati trasforma l’esercizio di un diritto in una sorta di caccia al tesoro. Non dovrebbe essere né una botta di fortuna né una questione di chi ti capita, ma un diritto garantito a tutte le persone”, aggiungono. Ci si aspetterebbe che dopo la prima inchiesta, in cui le autrici avevano fatto notare mancanze e problemi nei documenti ricevuti, le regioni si siano organizzate per attivare una raccolta dati precisa e puntuale. E invece non è andata così e la qualità delle informazioni in molti casi è peggiorata: “Ci sono stati casi assurdi, come in Lombardia, dove su 100 strutture, in 28 non era indicato il numero di medici obiettori. Nelle colonne al posto dei numeri c’era un cancelletto che indicava la non volontà di comunicare quei dati per motivi di privacy, probabilmente per evitare di confermare che si tratta del 100% di medici obiettori. La regione Lazio invece in una prima risposta aveva inviato un foglio di calcolo ben dettagliato, ma successivamente ha peggiorato la qualità dei dati forniti. La Sicilia, invece, non ha mai risposto alle nostre richieste: riceviamo solo numeri di protocollo e null’altro”, spiegano. Le risposte in dettaglio di tutte le regioni si trovano nel sito dell’inchiesta, ed è molto difficile trovare casi virtuosi. “Sull’applicazione della 194 i dati non sono mai stati forniti in modo ottimale, ma il problema”, come fa notare Sonia Montegiove, che si occupa anche di dati nella pubblica amministrazione, “è che anche la relazione del ministero, con i dati Istat, fornisce molti dati sulle persone che accedono al servizio, ma non come viene erogato. Non solo non sappiamo in quale struttura ci sono medici obiettori oppure no e in che quantità, ma non abbiamo un elenco pubblico in open data degli ospedali d’Italia, né di quelli che erogano il servizio di interruzione volontaria di gravidanza”. I dati disponibili - relativi al 2022 - dicono per esempio che fra il 2014 e il 2022, "mentre le Ivg sono diminuite del 32,0%, passando da 96.578 a 65.661, i ginecologi non obiettori sono aumentati del 21,5%, passando da 1.408 a 1.711 nel 2022”, ma non sappiamo in quali strutture, un’informazione fondamentale per le donne che hanno bisogno di accedere al servizio. È scritto anche che è aumentato il ricorso alla contraccezione d’emergenza, ma i dati vecchi di due anni sono poco utili a monitorare i cambiamenti - anche culturali - relativi a nuovi regolamenti e disposizioni per accedere al farmaco. Montegiove sottolinea che i dati forniti dal Ministero della Salute spesso non rispettano gli standard previsti dal Codice dell’Amministrazione Digitale: i formati sono chiusi , rendendo impossibile una rielaborazione automatica. Solo di recente, grazie alla pressione di associazioni come Ondata, alcune informazioni sono state pubblicate in formati aperti. Ma restano comunque poco significative, perché mancano dettagli fondamentali come l’elenco degli ospedali che erogano il servizio di IVG, il numero e la percentuale di medici obiettori di coscienza, la disponibilità di metodi alternativi come quello farmacologico. L’assenza di questi dati non è solo una questione tecnica, ma, secondo le autrici, “un atto di violenza contro le donne e una violazione dei diritti fondamentali”, perché si impedisce l’effettivo accesso alla prestazione sanitaria. Chiedere dati pubblici infatti vuol dire verificare anche il funzionamento di un servizio ed eventualmente migliorarlo. “Se un servizio medico cruciale come l’IVG non ha dati aggiornati e precisi, le persone rischiano di trovarsi in situazioni drammatiche. Perché, ad esempio, se una struttura ha il 100% di medici obiettori, i tempi si allungano e questo può diventare un problema. Per questo, per Chiara Lalli, anche solo sapere quanti sono gli obiettori in realtà non è una condizione sufficiente per garantire il servizio, “Non è la stessa cosa avere il 70% di obiettori in una struttura con due ginecologi o in una con cinquanta. Questa informazione è fondamentale, ma manca del tutto.” E non ci sono indicazioni sul fatto che queste lacune verranno prese in considerazione dal governo per migliorare la situazione già dal 2025, anche perché alla sua interrogazione parlamentare sul ritardo della relazione, la deputata deputata Gilda Sportiello si è sentita rispondere che “non può negarsi che il Ministero della Salute riserva una particolare attenzione al tema della salute della donna e al percorso nascita”, come ha detto il sottosegretario alla salute Marcello Gemmato. “Il messaggio che arriva dal Ministero è sempre lo stesso: va tutto bene”, commentano Lalli e Montegiove, “Ma come possiamo fidarci, se i dati non sono verificabili? C’è una retorica rassicurante che serve solo a coprire la mancanza di trasparenza e di impegno politico.”

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